Storie di emigrazione: Isaac, dal Ghana alla Misericordia

Seneca qualche migliaio di anni fa scriveva che Lieve è il dolore che parla, il grande è muto. Forse aveva conosciuto persone come Isaac, timidissimo e riservato 26enne del Ghana che vive a Capannori da poco più di un anno.
La sua storia non si sa bene dove iniziare a raccontarla. La sua era una vita semplice: viveva in una grande città, Takoradi, insieme ai genitori e ai suoi sette fratelli. A scuola andava piuttosto bene, soprattutto in inglese che era la sua materia preferita, aveva la patente, gli amici, e da qualche tempo aveva anche trovato lavoro “in una grande azienda di oro”, come dice lui, dove il suo compito era quello di controllare che nessuno lo rubasse. Il Ghana, di fatti, è il secondo produttore d’oro di tutta l’Africa, uno dei tanti stati della “gold coast”. Ma si sa: di tutta quella ricchezza alla popolazione locale arriva ben poco, a volte niente. Infatti quel lavoro per Isaac è durato pochi mesi e si è ritrovato di nuovo senza occupazione, con a casa tanti fratelli piccoli da sfamare, da vestire e da mandare a scuola.

Dopo molti ripensamenti e indecisioni è arrivato il gran giorno, il giorno in cui Isaac ha dovuto per forza assumersi le responsabilità di fratello maggiore e diventare grande per davvero. Ha deciso di partire, spinto soprattutto dai genitori e da tutte quelle belle storie sull’Europa che si sentivano in giro, giù in piazza. Storie che gli raccontava soprattutto il suo amico Buran, con cui è partito e con cui oggi condivide la casa. Quando ha lasciato la sua famiglia se lo ricorda ancora bene: “Era il 6 aprile – ha raccontato – sono partito dalla mia città e mi hanno portato in Libia. Lì mi hanno detto di lasciare tutti i miei documenti, anche la patente a cui ero affezionato, poi ci hanno messi tutti su una barca”.
Prima di dire “barca” ci ha messo un po’, non solo perché fa ancora fatica a parlare la nostra lingua. Infatti non ne ha voluto parlare molto, ha solo detto che è stato in mare tre giorni, sempre accanto al suo amico Buran, e che poi è arrivato a Catania. Quella città la ricorda con affetto non solo perché lo ha salvato dal mare: lì è dove ha comprato il telefono che mostra orgoglioso. I genitori gli avevano lasciato i soldi per comprarselo una volta arrivato in Italia, così avrebbe potuto chiamarli mentre si rifaceva una vita. E’ stato un po’ un regalo di addio, una pacca sulla spalla, un premio per aver avuto così tanto coraggio. Isaac è arrivato a Capannori il giorno dopo, quando ormai era luglio, e da allora vive in una piccola casa poco lontana dal centro. Con lui vivono il suo grande amico Buran e altri 14 ragazzi, provenienti da ogni angolo dell’Africa che, stranamente, cucinano tutti piatti italiani come la pasta, come se la nostalgia di casa non facesse parte di loro.
“In casa parliamo tutti dialetti diversi e in pochi sanno bene l’inglese, quindi non ci resta che parlare l’italiano – ha raccontato Isaac – Tutti noi almeno tre pomeriggi alla settimana andiamo a scuola: lì ci insegnano l’italiano e sono molto contento di poterlo imparare bene, almeno comincio a capire anche qualche canzone”. Isaac come ogni giovane ragazzo della sua età ama molto la musica ma essendo un romanticone d’altri tempi più che il ritmo gli interessano le parole: il telefono spesso diventa un buon amico anche per isolarsi dal mondo e ascoltare le canzoni d’amore del suo paese. “La musica italiana non riesco ancora a capirla bene – dice Isaac – però mi piace molto una canzone di Eros Ramazzotti”.
Il telefono, non avendo televisioni in casa, è anche il suo unico intrattenimento. “Sul telefono ci guardo i film: quelli del Ghana non mi piacciono perché parlano sempre e solo di misteri e di avvocati, preferisco i film d’amore della Nigeria”. Il telefono è molto utile anche per le “translate”: adesso che l’italiano è ancora così difficile da capire ed è difficile soprattutto farsi comprendere dagli altri, il telefono diventa quasi indispensabile.
Isaac non esce molto. L’unico suo giorno di svago è la domenica, quando, insieme ad alcuni amici del Ghana, prende la bicicletta, va in stazione e prendo il treno per Pisa. Là ogni settimana celebrano la messa in Twi, la lingua del suo popolo, ed è sempre una bella occasione per ritrovarsi e per pregare tutti insieme. Ma finita la messa torna subito in stazione, non gli piace stare in giro e vedere gente. “Preferisco stare in casa – ha raccontato Isaac – ogni volta che esco divento triste. Non so perché ma la gente di qui mi guarda sempre male: qualche giorno fa davanti scuola stavo ridendo con i miei compagni e una signora, all’improvviso, ci ha gridato parolacce. Noi non stavamo facendo niente di male. Non mi piace essere guardato in quel modo, preferisco starmene in casa e guardare i miei film d’amore”. Eppure, nonostante non ami particolarmente uscire, Isaac, passeggiando fuori casa, qualche mese fa ha notato qualcosa che ha attratto la sua attenzione: proprio a due passi da casa sua, infatti, c’è la sede della Misericordia di Capannori. Anche qui, dopo un bel po’ di ripensamenti e indecisioni, spinto anche dai ragazzi della Cooperativa Odissea che aiutano e sostengono economicamente molti ragazzi come Isaac, ha deciso di iscriversi al corso, dove questa estate ha ottenuto un punteggio ottimo all’esame scritto conquistandosi l’attestato di soccorritore di livello base.
“Faccio il volontario in Misericordia poche ore tutti i giorni – ha raccontato Isaac – mi piace molto, aiuto le persone in difficoltà che non riescono a fare certe cose da sole, come gli anziani o i disabili. Sono molto felice di venire qui e spero tanto che questo, un giorno, diventi il mio lavoro”. Isaac, che ormai in ambulanza ci ha preso la mano e ogni giorno indossa la divisa con passione, ha tentato anche di essere preso al servizio civile regionale, ma lo hanno scartato in ben due associazioni. “Mi hanno detto di riprovare il prossimo anno”, ha detto Isaac, che comunque non ha perso la voglia di aiutare e di mettersi in gioco. Più volte al mese fa anche parte del team di giovani “in giallo” che con le pettorine di Legambiente di Capannori, sempre sostenuti e seguiti dalla Cooperativa Odissea, vanno a pulire i parchi e le zone più soggette all’inquinamento del nostro territorio. Un altro modo per stare insieme, sentirsi utili e accumulare attestati per trovare finalmente un buon lavoro. Perché la mamma, su quel telefono che gli ha regalato, ogni giorno dal Ghana chiede continuamente se lo ha trovato, incredula e delusa di aver mandato via un figlio in quella terra dei balocchi e di speranza che in realtà si è rivelata tutt’altro.

Giulia Prete

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