L’assessore Miccichè a Renzi: “Non parliamo di mamme e razza ma di incentivi, adozioni e salario”

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E’ l’assessore alle politiche giovanili e alle politiche sociali del Comune di Capannori ed ex segretario comunale del Pd locale, Lia Miccichè a scrivere una lettera a Matteo Renzi, esprimendo la sua sopratutto riguardando la questione del tanto discusso Dipartimento mamme del partito.

“Caro Matteo – scrive Micciché – ti scrivo come donna delle istituzioni anzitutto, e poi anche come esponente del Partito Democratico, per il quale, nella mia città che è Capannori, ho svolto fino a qualche mese fa il ruolo di segretaria comunale. Per prima cosa mi presento: non sono una renziana della prima ora, anzi, direi che non lo sono stata per nulla. Dal giorno in cui sei diventato, legittimamente con le primarie, il segretario del Pd sei però diventato il mio segretario. Quando hai svolto il ruolo di presidente del consiglio sei stato il mio presidente e ho sostenuto e difeso, anche di fronte ad amici increduli, il tuo governo e molte delle sue azioni, perché davvero penso che dopo tanti anni finalmente in Italia abbiamo avuto un Governo che faceva scelte, un Parlamento che legiferava e un’occasione di cambiamento. Per cui, vista la moda di oggi di attribuire casacche continuamente, sono finita con l’essere renziana senza aver fatto nulla perché ciò accadesse, se non semplicemente aver preso posizioni a favore del governo e aver sostenuto il Pd come partito”.
“Comunque, mi interesso poco delle etichette e in ogni caso mi va bene che mi si dica che sto nella linea del segretario, a prescindere dai nomi. Detto questo – prosegue l’assessore – oggi mi sento in difficoltà. E te lo dico francamente, non per motivi ideologici, o di condizionamenti politici in vista di elezioni con sistema proporzionale, o di scelte difficili che chi governa deve assumersi, bensì per la marea di chiacchiere e definizioni che il Pd sta mettendo in giro, in modo poco utile e senza condivisione. Mi riferisco, in particolare, alla questione del “Dipartimento mamme” e del fatto che c’è da portare avanti la razza italiana. Potremmo parlare, anziché di mamme e razze, di incentivi per gli asili nido aziendali, a stimoli perché l’organizzazione del lavoro, specie per alcuni lavori (sono una lavoratrice autonoma), sia modificata alla luce delle necessità delle donne lavoratrici. E ancora, potremmo parlare di salario e di precariato (attenzione, non sono contraria al precariato, sono contraria alla schiavitù del precario senza giusta ricompensa economica). E perché no, potremmo parlare di diritti, ad esempio delle adozioni, per coppie eterosessuali che ancora oggi incontrano difficoltà e avviare il confronto per l’adozione alle coppie gay e lesbiche. Se è stato detto mamme e razza per semplificare perché siamo nell’era delle parole piglia-consenso, ma dietro a quelle parole ci sono questi temi, invito la politica nazionale a usare parole più appropriate. Anche perché molti di questi temi interessano anche gli uomini, e attenzione attenzione, anche le donne che non sono madri (e tante donne non sono madri per scelta, e non per questo chissà quale problema hanno)”.
“Mi piacerebbe che si sviluppasse un dibattito – prosegue Micciché – anche pubblico, su queste questioni spesso lasciate in secondo piano, ma se vogliamo avviare un dibattito serio, che crea ponti e non separi, che produca uguaglianza sociale e non produca scontro e dissapori, dobbiamo avere il coraggio di andare oltre la ricerca del consenso e pensare che siamo anche un po’ educatori della comunità, e che pertanto le parole, come le azioni, vanno ponderate e scelte con estrema cura”.
“Non rinnego il Pd – conclude Lia Miccichè – perché non condivido tutto al 100 per cento. Ma chiedo al mio partito di non rinnegare la storia di molte donne e molti uomini del passato a cui dobbiamo la libertà di cui oggi godiamo, libertà di parola compresa. Dici spesso usciamo dalla palude. Ripartiamo da lì: Matteo, andiamo fuori dalla palude e facciamo il cambiamento che l’Italia merita. Grazie”.

 

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