Lucca, treni tra poesia e politica

Il 22 giugno 1846 due convogli ferroviari trasportarono oltre 400 persone da Lucca a Ripafratta. Poche settimane dopo, il 25 settembre, il tratto percorso si allungò fino a Bagni di San Giuliano e, finalmente, il 15 novembre dello stesso anno, con un’austera cerimonia, venne inaugurata l’intera linea Lucca – Pisa. Comprensibile, quindi, il giubilo con cui i lucchesi accolsero questa prova di capacità organizzative e imprenditoriali.

Un clima di entusiasmo ben espresso in un libello celebrativo dato alle stampe dal tipografo ed editore lucchese Giuseppe Giusti: “Volendo io festeggiare nel miglior modo che io possa il benefizio della strada ferrata mi sono proposto di dar fuori co’ miei torchi alcune composizioni di nobili ingegni, a bella posta scritte per questa occasione”. Un’antologia di versi non particolarmente memorabili, stesi per la circostanza da intellettuali delle cui opere, almeno di quelle letterarie, si è persa la memoria. Non era un poeta – e si sente – il marchese Antonio Mazzarosa, patrizio illuminato e storiografo della città quando con brutti versi epigrafici plaude all’evento.
In quella virtù motrice
stupore dei nostri tempi
onde ostacoli e indugi al mescolarsi delle nazioni
sono vinti
il volgo non iscorge
che utile e comodità
ma il sapiente
vi antivede il modo per comunanza di affetti
ad immegliare il mondo
.
E sulla stessa lunghezza d’onda dell’enfasi oratoria del Mazzarosa si mantiene l’avvocato e filantropo, Luigi Fornaciari. Questo il sonetto – dal gusto che mescola tradizione arcadica, echi manzoniani e anticipazioni di un incipiente positivismo – con cui il Consigliere di Stato Fornaciari, esponente di spicco del cauto liberalismo lucchese, partecipa all’esaltazione letteraria dell’avvenimento.
– Siete fratelli, amatevi. – Ecco il grido
della natura, il grido del Vangelo:
né franca l’uom diversità di cielo
da questo amor, o estremità di lido;
e il navile che solca il flutto infido
con remigio di foco al par di telo,
tutte affratella in questo ardente zelo
le genti, che più il mar strania di nido.
Di questo amore è dolce messaggiero
il novo cocchio ignito, che la via
corre quasi con l’ali del pensiero;
sol tai mirande invenzioni aborre
chi dispaiati gli uomini desia,
perché l’amore è inespugnabil torre.
Neppure il siciliano Giuseppe La Farina (Messina 1815 – Torino 1863) era un poeta, ma un patriota: e si sa che, anche quando le intenzioni sono buone, la retorica spesso è in agguato, nascosta nelle penne dei politici. Così, pieno di entusiasmo per il progresso che avanzava sotto la specie del treno a vapore, in una canzone in endecasillabi e settenari, si esprimeva il futuro segretario della cavourriana Società Nazionale.
Il genio creator del secol nostro
che affrena gli elementi
creò di ferro infaticabil mostro
per gareggiar co’ venti.
Ha lungo il collo e dalla bocca nera
getta fumo e faville,
sbuffa, nitrisce, scuote la criniera
trapassa borghi e ville.
È lui che unisce con virtude arcana
il castello a castelli,
alle cittadi la città lontana
e intreccia fra fratelli
le catene d’amor, per cui somiglia
al ciel la terra che d’amore è figlia.
Per lui di Lucca i figli e quei di Pisa
formeranno una sola
città, non più da stolte ire divisa,
né da insana parola…
Oh! tra genti sorelle e al bene amiche
si sperda il suon delle querele antiche!
E non basta. Ad altezze poetiche simili seppero librarsi anche gli altri autori del libello. Antonio Peretti, poeta di corte a Modena ma già in odore di liberalismo, in un poemetto in versi sciolti ribadiva la sua ferma convinzione che niente e nessuno sarà in grado di arrestare il progresso.
A gloriosa meta
il secolo cammina, e la codarda
lusinga d’arrestar l’igneo suo carro
è delirio od innocente
insania di fanciullo
L’indotto sollecitato da questo breve tratto di ferrovia ispira anche il poeta Federigo Trenta che sente il dovere di affidare ad un foglio volante, stampato dal solito Giusti, nientemeno che un inno. Forniamo al lettore curioso almeno un paio di strofe.
Il Commercio, per celeri lampi
cui l’Industria sa mettere a prova,
rifiorisce dovunque si trova
le ferrate Stazioni a calcar.
Di già il Parto il Germano ed il Franco
fraternizza in virtù del Vapore
E l’Ibéro di regni signore
stende all’Italo amica la man.
Non doveva trascorrere neppure un anno dall’edizione di quei versi rotondi e sonori, che il treno e la strada ferrata da Lucca a Pisa avrebbero svolto la funzione emancipatrice e civilizzatrice auspicata dai nostri generosi autori. Durante tutta la primavera e l’estate del 1847, infatti, anche a Lucca, come nel resto d’Italia, il movimento riformatore aveva ottenuto importanti successi: la libertà di stampa era finalmente divenuta realtà e l’1 settembre era stata istituita la Guardia civica e affidato al Consiglio di Stato l’adozione delle riforme ritenute necessarie e adeguate ai veloci cambiamenti in corso d’opera in tutta la penisola. Il mito di Pio IX papa liberale agiva potentemente nella cattolicissima città delle Mura: i cortei popolari assomigliavano a processioni; il tricolore veniva deposto come una reliquia sacra su altari improvvisati: sacerdoti prendevano pubblicamente la parola, mescolando gli ideali religiosi con quelli nazionali e costituzionali. In quei giorni furono centinaia i pisani che raggiunsero Lucca per portare sostegno politico e morale, solidarietà, entusiasmo ai fratelli toscani: “A Lucca giunsero anche centinaia di livornesi e per tutto il giorno e gran parte della notte fu un tripudiare continuo per le piazze e per le vie ed a sera la città venne rallegrata da una splendida luminaria. A notte inoltrata, un drappello di donne, che camminavano a tre a tre portando in mano delle torce accese, accompagnarono gli ospiti alla stazione ferroviaria. – Addio fratelli! – era il grido dalle mura che formicolavano di gente e risplendevano di lumi mentre le stesse parole si ripetevano lungo la strada ferrata e dal treno: Addio!” (Noferi, Per l’apertura della strada ferrata da Lucca a Pisa, 1992). Pratica e calda dimostrazione dell’anacronismo dei confini tra città e paesi uniti invece da vincoli forti di lingua, storia, tradizioni, interessi.

Luciano Luciani

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