Matrimoni fittizi per favorire immigrazione: 4 arresti foto

di Roberto Salotti
I “promessi” sposi si avvicinavano al celebrante senza scambiarsi uno sguardo, figuriamoci un bacio o una parola. Arrivavano da due mondi completamente diversi, e nessuno dei due conosceva la lingua dell’altro. L’amore era solo una finzione sullo sfondo della disperazione e dello sfruttamento, ma nessuno dei due aveva bisogno di sforzarsi troppo. Bastava presentarsi all’appuntamento in Comune, dire sì e poi ognuno per la sua strada. Un po’ come il George Faure interpretato da Gérard Depardieu in Green Card, il film di Peter Weir degli anni 90 che parlava di un matrimonio combinato per ottenere la carta verde e soggiornare negli Usa. Nella finzione cinematografica, alla fine, però, fra i finti sposi sbocciava l’amore. Per le coppie fasulle smascherate dalla polizia di Lucca, invece, ricominciava la vita di tutti i giorni, con altri compagni, da una parte, e un futuro da giocarsi in Svizzera per chi finiva nella rete dell’organizzazione, pur di rifarsi una vita, dall’altra.

L’operazione che ha portato in manette 4 persone, ritenute ai vertici dell’organizzazione che combinava i matrimoni, facendosi pagare da disperati profughi kosovari dai 25 ai 30mila euro a matrimonio, non poteva che chiamarsi Promossi sposi, dal celebre romanzo di Manzoni. Ma nel caso dell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Antonio Mariotti non c’era nessun matrimonio contrastato. Anzi, tutto era predisposto e ben organizzato affinché si arrivasse al sì. Perfino l’assistenza legale era dispensata dalla gang, quando le prime unioni fasulle sono state scoperte e le donne, tutte sinti e residenti tra Lucca, Prato e Montemurlo, sono state interrogate e perquisite. Erano state, per l’accusa, reclutate da Pamela Jennifer Monini, 27 anni, residente a Lucca, e da Meghi Reinart, 33 anni, abitante a Prato ma nata a Pietrasanta. Sono stati tutti colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Silvia Mugnaini. Erano loro, per gli investigatori della squadra mobile diretti dal commissario Silvia Cascino, a individuare le donne sinti, al campo rom di Lucca o Montemurlo, adatte all’impresa. Promettevano loro dai 4 ai 6mila euro, per uno sforzo relativamente insignificante: dire sì ad un uomo che non avevano mai visto e che non avrebbero probabilmente più visto in vita loro dopo averlo sposato. Nove le persone – tra cui anche un uomo – che sono state denunciate per essersi prestate al giro, che veniva gestito da uno dei capi della gang: Lulzim Gashi, 37 anni, che si affidava alla compagna Olha Derevoriz, di 24 anni, entrambi residenti a Tazzo, in provincia di Treviso, per accogliere i kosovari in cerca di una via d’uscita per rifarsi una vita in Svizzera dove c’è una numerosa comunità di connazionali.
Una volta ricevuto il denaro, organizzavano tutto contattando le due donne in Toscana. E nel giro di qualche giorno il matrimonio era combinato. Non restava che presentarsi a pronunciare quel fatidico sì. E così è andata in almeno una decina di casi, sono quelli che in effetti la polizia contesta ai 4 finiti in manette con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Lo schema era sempre lo stesso, spiegano gli investigatori. Una volta celebrato il matrimonio, senza scambiarsi promesse né tantomeno baci o effusioni, marito e moglie uscivano dal Comune e prendevano strade diverse. Le donne sinti tornavano dai loro compagni e, spesso, dai loro figli. I kosovari prendevano la strada della Svizzera, dove in diversi casi hanno dovuto raggiungerli anche le false consorti. Dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno in Italia con il matrimonio falso, infatti, avevano bisogno della consorte per chiedere il permesso B in Svizzera, dimostrare di avere un reddito e necessità di risiedere nello stato elvetico per motivi familiari. La gang pensava anche a questo, e organizzava i trasferimenti in auto in Svizzera quando era necessario. Seguendo uno di questi spostamenti, le indagini hanno subito un’accelerazione poco prima dell’estate scorsa. Sull’A11, nei pressi del casello di Altopascio, una Mercedes sbanda e finisce contro il guard rail. Un incidente autonomo, ma le due donne che si trovavano a bordo scavalcano la recinzione della careggiata e fuggono prima dell’arrivo della polizia. Una di loro era Pamela Jennifer Monini, e a fianco del guidatore c’era colui che gli investigatori ritengono vertice dell’associazione: quel Gashi che nelle ultime ore è stato arrestato dalla polizia nell’ambito di una operazione che ha coinvolto anche le squadre mobili di Treviso, Prato e Conegliano Veneto.
L’inchiesta. Il via alle indagini è arrivato grazie alla segnalazione dell’esperto alla sicurezza del servizio centrale per la cooperazione internazionale della polizia: il vicequestore Giampiero Messinese, al lavoro in Kosovo, aveva trasmesso alla polizia lucchese una serie di dettagli su almeno due matrimoni ritenuti sospetti. Le spose sinti, residenti a Lucca, secondo quanto emerso, non parlavano una sola parola di kosovaro, ma sostenevano di comunicare con i loro mariti traducendo le loro frasi d’amore con google translator. Una scusa improbabile che altre delle donne interrogate nel corso dell’indagine hanno confermato, sostenendo d’amare il proprio marito anche quando scoperte a letto, durante le perquisizioni, con altri uomini. Erano tornate alla loro vita, spiegano gli investigatori. Una di loro, per non dimenticarselo, si era appuntata perfino sul calendario in casa che avrebbe dovuto divorziare dall’uomo sposato in cambio di 5, forse di 6mila euro. Tutte donne nubili anche se con compagni, talvolta con dei figli: nessuno scrupolo a presentarsi in Comune e dire sì.
Matrimoni farsa in Comune. I primi matrimoni farsa vengono celebrati proprio a Lucca, in Comune, secondo quanto ricostruito nell’indagine. E’ il 22 luglio del 2015 quando la prima coppia varca la soglia di Palazzo Orsetti. Lui arriva con qualche parente, lei invece indossa abiti casual ma si ricorda di mettere almeno i tacchi. Forse per salvare un minimo l’apparenza. Nessuno ci fa troppo caso, e la cosa è fatta. Stesso copione il 30 settembre dello stesso anno, sempre a Lucca. Ma la polizia ha già iniziato ad indagare, scopre l’inganno e ferma la sposa novella. Accade più o meno questo anche il 25 febbraio 2016 al Comune di Capannori. A quel matrimonio ci sono anche gli investigatori che osservano da lontano l’arrivo degli sposi che dopo la celebrazione si allontanano senza salutarsi. Lei, bloccata poi dagli agenti, risponde seccata che deve andare a pranzo al ristorante con il compagno, poi però si rende conto di essere stata scoperta e si corregge: ama davvero l’uomo che ha appena sposato.
Ma gli agenti che ascoltano queste storie almeno dieci volte non credono a nessuna di loro. E le indagini a quel punto si sviluppano con pedinamenti ma anche con le intercettazioni. Dopo ogni interrogatorio, vengono registrate le telefonate con Gashi. Le novelle spose hanno paura dell’indagine della polizia e chiedono consigli. Lui tranquillizza e mette a disposizione perfino avvocati. Ma quando l’indagine è ormai vicina alla svolta e quando la banda si sente con il fiato sul collo che le coppie combinate vengono costrette a vivere sotto lo stesso tetto. I kosovari vengono fatti arrivare in Toscana, e piazzati con le false spose al campo rom di Montemurlo. Ma qui si scatena l’inferno, e allora l’organizzazione provvede: affitta un appartamento a Prato per i falsi sposi. Circostanze che gli inquirenti hanno raccolto con scrupolose indagini per mesi, a cui hanno collaborato anche gli uffici dei Comuni di Lucca e di Capannori, dove si sono celebrati, ovviamente all’insaputa degli enti, i matrimoni fittizi. Il 19, 26 e 29 ottobre del 2015 falsi sì sono stati pronunciati perfino alla sede dell’ambasciata italiana e si è andati avanti fino all’ultimo matrimonio falso accertato e che risale al 25 febbraio scorso: matrimoni così, secondo gli investigatori, ne sono stati celebrati anche il 23 dicembre 2015 a Lucca, il 5 gennaio 2016 a Prato e il 10 febbraio 2016 a Montemurlo.

Sostieni l’informazione gratuita con una donazione

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di Lucca in Diretta, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.