Lucca seconda in Toscana per beni confiscati alla mafia

“La Toscana non è terra di mafia, ma la mafia c’è”. Lo diceva lo scomparso giudice Caponnetto e la ricerca realizzata dalla Normale di Pisa lo conferma. Già dopo i primi mesi di studio si rafforza infatti la consapevolezza che non esistono regioni sul territorio nazionale immuni dalle mafie e dai fenomeni corruttivi. E la Toscana non fa eccezione. La situazione di fatto supera la fotografia scattata da giudici, perché ci sono reati che talvolta non sono qualificati giuridicamente con una matrice mafiosa ma nella sostanza lo sono, ricondotti a gruppi autonomi o singoli individui, ugualmente pericolosi da un punta di vista sociale e che dimostrano l’elevata vulnerabilità di alcuni territori. Pochi e sporadici casi insomma da articolo 416 bis, ma ben più numerose attività criminali a sostegno di associazioni di stampo mafioso.

Il rapporto della Scuola Normale di Pisa, primo di tre studi concordati dalla Regione con l’ateneo fino al 2018, è stato approvato ieri dalla giunta regionale. L’ha curato la professoressa Donatella Della Porta, con la collaborazione di Andrea Pirro, Salvatore Sberna e Alberto Vannucci. L’indagine è innovativa e sperimentale nella metodologia e nel focus, ma anche nel processo che lo guida, partecipativo. La ricerca ha visto infatti il coinvolgimento delle principali istituzioni impegnate in Toscana nell’attività di prevenzione e contrasto fenomeni criminali esaminati. I risultati e punti salienti sono stati messi in evidenza oggi dal presidente della Toscana Enrico Rossi assieme all’assessore alla presidenza e legalità Vittorio Bugli.

Il fenomeno in Lucchesia
Nel rapporto emergono alcuni episodi legati in particolare al fenomeno delle scommesse e del gioco d’azzardo e al traffico di stupefacenti.
Per il primo settore in particolare, in un’indagine coordinata dalla Dda fiorentina, è stata scoperta una vasta influenza da parte di un gruppo di origine campana (il cosiddetto gruppo Terracciano originario di Pollena Trocchia in primvincia di Napoli) in più aree della regione (Prato, la Versilia, le province di Firenze, Pistoia, Lucca) nel settore della prostituzione, realizzata attraverso una rete di night club presenti sul territorio toscano, e nel settore delle scommesse clandestine.
Quanto al traffico di stupefacenti ad agire sul territorio sarebbero le organizzazioni calabresi che avrebbero predisposto dei veri e propri insediamenti organizzativi più stabili in regione. Supporto a questa tesi arriverebbe dalle risultanze dell’operazione Akuarius (e successive operazioni a questa collegate), che nel giugno del 2016 avrebbe individuato e disarticolato, tra le province di Firenze, Livorno, Pisa, Prato, Pistoia, Massa e Lucca, una organizzazione criminale calabro-ionica (gruppo Pesci) dedita al cosiddetto brokeraggio nel traffico di droga e di sequestrare oltre 65 chili di sostanze stupefacenti nonché di arrestare il responsabile dell’omicidio di un trafficante toscano, avvenuto a Tirrenia il 9 dicembre 2015. Una manifestazione così intensa di violenza criminale per gli inquirenti sarebbe indicativa dal valore economico raggiunto dai traffici, ma soprattutto delle capacità operative che alcuni di questi gruppi criminali hanno sviluppato sul territorio.

Episodi di criminalità e reati ‘sentinella’
Due sarebbero gli episodi più gravi degli ultimi anni che hanno fatto sentire odore di mafia in Lucchesia. Uno è quello che riguarda una serie di truffe ad almeno 100 aziende tramite società di comodo con sede a Lucca e nei comuni limitrofi. Le società acquistavano, tramite assegni postdatati, grandi quantitativi di merce (dagli infissi ai carburanti, fino alle gru per cantieri edili) per poi sparire senza lasciare traccia, lasciando il posto ad altre società di facciata che ripetevano lo stesso meccanismo. Per l’episodio sono stati contestati associazione a delinquere, truffa, bancarotta, ricettazione e riciclaggio e la squadra mobile di Pisa ha eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare.
Nel marzo 2016, inoltre, il Gup di Lucca ha condannato a due anni di reclusione un medico per i reati di corruzione e istigazione alla corruzione. Secondo l’ipotesi accusatoria, accolta dal  magistrato, il medico avrebbe accettato la promessa dell’agente plurimandatario e del procuratore di una multinazionale elvetica di una somma quantificabile in 20-30mila euro per adoperarsi all’interno della commissione giudicatrice nella quale era stato nominato dietro indicazione dell’Asl di Lucca in modo da assicurare a tale società l’aggiudicazione della fornitura di tre litotritori extracorporei da destinare all’Asl 1 di Massa Carrara, all’azienda Asl 2 di Lucca e all’Asl 5 di Pisa. Assieme ai due agenti dell’impresa svizzera il medico avrebbe inoltre offerto 20-30mila euro a un altro componente della stessa commissione al termine della prima riunione affinché non ostacolasse l’assegnazione, quest’ultimo avrebbe tuttavia rifiutato e denunciato la profferta.

Il raporto nel dettaglio
Mercati illeciti e capitali ‘ripuliti’

Gli interessi dei clan criminali sono duplici: far affari ma anche reinvestire il frutto di attività consumate altrove. Da un lato ci sono così i mercati illeciti, fin troppo fiorenti e vasti anche in Toscana da non attirare gli appetiti di gruppi criminali ben organizzati come le mafie storiche italiane o le mafie straniere, e dall’altro ci sono i capitali illeciti, che inquinano l’economia della Toscana. Ecco così che il porto di Livorno si evidenzia come hub di ingresso per i traffici in larga scala di droghe e stupefacenti. Quello toscano è tra i mercati più fiorenti tra le regioni italiane, in mano non ad una ma più organizzazioni; ma la Toscana e il porto di Livorno sarebbero uno snodo centrale soprattutto nel traffico internazionale di stupefacenti in ingresso in Europa, in particolare quello di cocaina, diretto da organizzazioni in gran parte riconducibili all”ndrangheta calabrese. Ecco la connessione, forte, tra gioco d’azzardo e usura, riconducibile al clan dei ‘casalesi’ e alla malavita casertana, mentre pochi (a Prato nella comunità cinese, in Versilia, Lucchesia e Valdarno) si dimostrano i casi di pizzo e estorsione. Ecco lo sfruttamento della prostituzione, legato a fenomeni di tratta e riduzione della schiavitù, con un ruolo prevalente di gruppi stranieri rispetto a quelli italiani. Ecco il caporalato e lavoro irregolare, con la Maremma e il Senese più esposti di altri territori, e ultimo ma non certo meno grave il traffico di rifiuti. La Toscana, secondo le statistiche raccolte e rielaborate ogni anno da Legambiente, si posiziona infatti tra le prime regioni in Italia per fenomeni di criminalità ambientale, anche se va detto che, come accade per molti indici che partono dalla misura di denunce e azioni penali, le regioni più virtuose sul fronte dei controlli sono anche quelle che rischiano di più il possibile paradosso di presentare un numero più elevato di violazioni.
Pochi gli omicidi di matrice mafiosa, in particolare concentrati nei primi anni Novanta. Tra gli ultimi ce n’è uno a Tirrenia, nel 2015, legato a traffici di stupefacenti. C’è poi la criminalità che non solo approfitta dei mercati illeciti, ma viene anche a sciacquare e ripulire in Toscana i capitali frutto di attività consumate altrove. La ricerca offre al riguardo una prima ricognizione. Gli investimenti, ingenti e diversificati, riguardano turismo, commercio e settore immobiliare, ancora il principale canale di investimento e riciclaggio della mafie storiche. C’è poi un’imprenditorialità mafiosa e criminale che riguarda lo smaltimento dei rifiuti, il tessile, le confezioni e l’edilizia, senza escludere a priori possibili forme di complicità e collusione con l’amministrazione pubblica.

Beni confiscati
La ricerca mostra anche una mappatura dei beni sotto sequestro o confiscati ad associazioni criminali. Sono 392, quarantaquattro legate ad aziende e il resto particelle di immobili. Sono ospitati in 49 comuni, il 17 per cento di tutti quelli che ci sono in Toscana. Il loro numero è in crescita, come il valore. Le aziende si concentrano a Prato e provincia (38%), Lucca (26%), Livorno (12%) e Firenze (9%). La provincia con più immobili confiscati è Arezzo, seguita da Livorno, Lucca e Pistoia. In particolare la provincia di Lucca è quella che dispone di più unità immobiliari a fini commerciali e industriali sotto confisca (il 33% sui 18 totali a livello regionale).
Certo, indicano gli studiosi, la possibile espansione dello strumento della confisca strumenti ad altre forme di reato impone la ricerca di soluzioni per superare le criticità legate ai tempi di assegnazione. Pochi sono infatti i beni per cui è stata decisa l’assegnazione definitiva. La tenuta di Suvignano, in provincia di Siena, è un caso emblematico. L’anno scorso è stata firmata un’intesa per la sua gestione con un progetto pilota di agricoltura sociale ma ancora manca l’ultimo passo.

Corruzione
La vulnerabilità di certi territori e mercati, come quello degli appalti pubblici, interessa anche le istituzioni. La ricerca passa così in rassegna alla fine anche il fenomeno della corruzione, incrociando i dati dei tribunali con quelli delle notizie apparse sui media. Si parte dalla Toscana, per poi successivamente allargare il raggio a tutta l’Italia. Gli enti locali, emerge chiaramente, sono il livello che resta più vulnerabile. I numeri raccontano una netta linea di tendenza verso la crescita dei reati contro la pubblica amministrazione e in particolare dei reati di corruzione ad Arezzo (dove sono più che triplicati, passati da 36 a 113), a Firenze, Lucca e Prato; sono stabili invece a Livorno, Pisa e Siena. Almeno 21 processi per corruzione, sei per concussione e 39 per peculato sono stati avviati nei tribunali toscani tra il 2014 e 2015. Spiccano, dopo la provincia aretina, i ben 13 processi per corruzione avviati a Firenze, i 12 per peculato a Grosseto, i 13 sempre per peculato a Pistoia.
La ricerca non ha solo lo scopo di scattare una fotografia. La mappatura aiuterà a comprendere quali settori della pubblica amministrazione e quali funzioni e procedure siano più vulnerabili. Irpet e l’Osservatorio regionale sugli appalti, che collaborano, hanno elaborato dei primi indicatori di anomalia a partire da un’analisi di tutti i contratti banditi dalle amministrazioni pubbliche che operano in Toscana. Questi indicatori di rischio saranno messi a disposizione sia delle amministrazioni – per aiutarle nell’elaborazione dei piani anticorruzione previsti dalla normativa nazionale – sia di tutta la società civile, che così potrà vigilare sui comportamenti delle istituzioni pubbliche.

Rossi e Bugli: “Istituzioni attente”
Contro mafie e criminalità organizzata servono una società e istituzioni vigili. “Reattive e pronte ad andare in Procura della Repubblica al primo sentore” dice il presidente della Toscana, Enrico Rossi. “Serve una cittadinanza attiva, che ne parli e ne parli ad alta voce” aggiunge l’assessore alla legalità e alla sicurezza, Vittorio Bugli. Così la relazione scientifica su mafie e corruzione commissionata dalla Regione alla Normale di Pisa, disponibile adesso con il primo rapporto, può diventare un utile strumento a supporto di questo impegno, anche per un’azione di prevenzione. “Siamo i primi in Italia – rivendica Rossi – a fare un’operazione di questo tipo”.
Perché una cosa è evidente e il presidente, nell’illustrare oggi la ricerca, lo ripete più volte. “Non esistono – sottolinea – territori immuni da infiltrazioni di criminalità organizzata e mafiosa. Non è possibile, soprattutto in un mondo globalizzato”. “In Toscana – spiega – per ora non sembra esserci un’organizzazione criminale residente, con la testa qui”. Chi opera nella regione è legato ad organizzazioni che fanno capo ad altri territori – alla Campania, alla Puglia, alla Sicilia e alla Calabria – o a gruppi stranieri. “Ma non è detto – aggiunge Rossi – che domani non possa accadere e per questo, affinché il tessuto ancora sano non sia corrotto, dobbiamo essere pronti, vigili e attrezzati”. Una battaglia di cultura legalitaria e di attenzione da condurre dal basso, nei paesi e territori, con la ricerca che, in futuro, potrebbe assumere quella scala di dettaglio: anche perché, mafia o non mafia in senso stretto, il traffico internazionale di stupefacenti in cui il territorio toscano sembra costituire uno snodo centrale, i fenomeni che riguardano l’usura, certi episodi di corruzione o il traffico dei rifiuti hanno un forte impatto sociale. “Attività rilevate dalla ricerca e che colpiscono” ribadisce il presidente.
Sulla promozione della cultura della legalità e il supporto al contrasto dell’illegalità la Regione Toscana non parte adesso. Rossi e Bugli ricordano ed elencano quanto fatto. “L’Osservatorio sugli appalti pubblici che abbiamo costituito anni fa, gestito interamente con tecnologie informatiche, si sta rivelando uno strumento determinante per il controllo e la prevenzione – spiega l’assessore -. Lo stiamo ulteriormente migliorando e grazie ad accordi che si sono aggiunti e susseguiti nel tempo Dia, Guardia di finanza, Anac e i carabinieri lo utilizzano per le loro ricerche quotidianamente”. Un database analogo è in corso di elaborazione sulle autorizzazioni ambientali, la cui competenza è tornata dalle Province alla Regione. E poi ci sono gli accordi con le Procure, la collaborazione per il contrasto del caporalato e le sofistificazioni, i campi estivi dei ragazzi sui terreni strappati alle mafie, le azioni nelle scuole, il monitoraggio sui beni confiscati alla mafia (anche in Toscana). Bugli si sofferma sulla tenuta di Suvignano in provincia di Siena, un simbolo oltre che la più grande azienda forse confiscata alla criminalità in Toscana. “Un anno fa – dice – avevamo firmato un accordo con ministero e agenzia nazionale. E’ cambiato il direttore e a settembre avremo una nuovo incontro. Serve un’accelerazione”.

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