Terrorismo e psichiatria: studio della Brf interessa Cambridge

Donatella Marazziti e Stephen Micheal Stahl del comitato scientifico della fondazione lucchese Brf onlus – istituto per la ricerca scientifica in psichiatria e neuroscienze, fanno luce sui rapporti fra gli attacchi terroristici e la psichiatria in uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista specialistica Cns Spectrums dell’università di Cambridge. Si intitola Evil, terrorism and psychiatry e si origina da una riflessione sul perché degli attacchi terroristici e, in particolare, su che cosa porti i terroristi a commettere degli atti così atroci.

Gli studi di questi fenomeni non hanno ancora dato risposta. Inoltre, gli specialisti sono spesso restii a studiare il concetto di ‘male’ e sovente sono influenzati da pregiudizi. Lo studio di Marazziti e Stahl cerca di colmare questo vuoto nel campo della psicologia e della psichiatria, per capire i processi psicologici che possono trasformare un individuo evidentemente normale in un attentatore suicida. “Non dobbiamo rimanere indifferenti – sottolineano i due psichiatri – al terrorismo e accettarlo come un fenomeno della nostra società, ma studiarlo cominciando dalle sue radici”. Nell’articolo si evidenzia come sia inutile interrogarsi sull’esistenza o meno del male, e sia del tutto dannoso chiudere gli occhi di fronte alla brutalità: “Non possiamo trascurare che la cattiveria sia intrinseca nell’essere umano – si legge in una nota della Bfr – come del resto lo sia la bontà; sono entrambe radicate nella nostra natura e derivano dalle interazioni tra i meccanismi del cervello e la genetica, l’epigenetica, fattori famigliari, sociali e contestuali. Per capire cosa spinga un soggetto a commettere atti di terrorismo, bisogna comprendere i meccanismi principali che portano all’aggressione e alla violenza. La filosofa Hannah Arendt – si spiega – aveva illustrato nel suo saggio più famoso, La banalità del male, come il male si mostri conseguenza della nostra aggressione innata, che non è limitata dal cervello morale e che porta l’essere umano a diventare un essere superfluo. In determinati casi le emozioni socio-morali che inducono il soggetto a provare empatia, senso di pietà, colpevolezza e indignazione per i comportamenti sbagliati vengono meno. In ogni caso, non possiamo considerare come ‘normali’ questi soggetti”. Secondo i due psichiatri “gli atti di violenza e di terrorismo dovrebbero essere studiati concentrandosi sui meccanismi neurobiologici che sono alla base dell’aggressione umana e del senso morale considerando i fattori contestuali che possono alterare l’equilibrio del soggetto”. I primi studi realizzati in questo campo, ancora oggi poco esplorato, indicano che lo stress ambientale possa modificare e danneggiare i circuiti del cervello, determinando una sorta di vulnerabilità, e possa portare a patologie psicologiche e allo sviluppo di comportamenti devianti. Recenti ricerche suggeriscono come la prevenzione del terrorismo richieda un’interazione forte tra i diversi ambiti di studio, e un monitoraggio accurato dei fattori di rischio durante l’infanzia e l’adolescenza.

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