“Il mio nome è Rachel Corrie” apre la stagione del teatro Colombo di Valdottavo

E’ con l’intenso monologo Mi chiamo Rachel Corrie, tratto dai diari di Rachel Corrie nella trasposizione teatrale di Alan Rickman che sabato (11 novembre) alle 21,15 si apre la prossima stagione teatrale 2017-2018 del teatro Colombo di Valdottavo, sotto la direzione artistica del musicista–compositore Silvio Bernardi.

In un teatro in continua mutazione che in queste settimane rinnova la sua area cafè per rendere ancora più ospitale e accogliente questo luogo di incontri all’arte, in attesa della riapertura al pubblico che avverrà proprio sabato con l’inizio della nuova stagione teatrale, vengono anticipati i nuovi progetti, i viaggi, i percorsi, gli incontri, raccontando di Rachel, di una ragazza americana, interpretata con toccante semplicità da Maria Laura Caselli, da due anni atrrice della compagnia di Gabriele Lavia.
Rachel Corrie è una ragazza americana, di Olympia, Washington, che nel 2003 decise di unirsi all’International Solidarity Movement, movimento palestinese impegnato a resistere all’occupazione israeliana usando i metodi e i principi dell’azione-diretta non violenta. Poco tempo dopo il suo arrivo a Gaza, Rachel venne brutalmente uccisa da un bulldozer israeliano mentre cercava di difendere la casa di una famiglia palestinese usando il suo corpo come uno scudo umano.
La sua vita venne stroncata a soli 23 anni.
 Sul palcoscenico per raccontare la sua storia: 
perché il conflitto israelo-palestinese è ancora di grande attualità, perché quel muro che lei aveva iniziato a veder costruire oggi si staglia alto e deciso per 730 chilometri a rappresentare sempre piu l’impossibilità del dialogo tra due popolazioni, perché ancora c’è bisogno di persone come lei, che abbiano il coraggio di toccare con mano la realtà, accompagnati dalla paura e dalla solitudine, ma presenti dove ce n’è bisogno, ognuno col suo modo.
“Questo spettacolo non nasce con l’obbiettivo di raccontare il conflitto in Medio Oriente e nemmeno di analizzarne le cause – ci descrive il regista Antonio Ligas – l’idea che lo domina è considerare la guerra come un evento tragico che da sempre assume valore pedagogico per chi la osserva, per chi la vive e soprattutto per chi la subisce, al di là di qualunque sofisma politologico che la neghi o la giustifichi. 
La nostra attenzione si concentra sulle vicende di una giovane fanciulla poco più che ventenne, la quale si ritrova a vivere dall’altra parte del mondo, di conseguenza svestendo gli abiti di una vita piccolo borghese e indossando i panni dell’attivista pacifista.
 Rachel Corrie era una di noi, una ragazza della porta accanto, con i problemi che tutti i ragazzi della sua età affrontano quotidianamente o almeno coloro che vivono lontani dai bombardamenti, dalle conseguenti ristrettezze economiche e sociali e dai continui stati di allerta. La sua vita scorreva apparentemente tranquilla. Ma se avessimo avuto modo di conoscerla più profondamente, forse saremmo stati capaci di catturare, dietro quegli occhi appuntiti, qualche guizzo del fuoco di cui parla nei suoi diari.
 Attraverso le sua testimonianza scritta ho cercato di far emergere la storia di una vocazione, quella stessa vocazione che nasce nel momento in cui ci si trova davanti ad un dubbio amletico: scegliere di accontentarsi e portare avanti un’esistenza sottovoce, in armonia col coro di vite che si accontentano e sopravvivono protette dalla bolla di una supposta normalità? O migrare nell’ignoto cercando di ampliare in maniera concreta i propri orizzonti non accettando di cibarsi solo del sentito dire?…
”

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