Grand Budapest Hotel, Anderson centra il capolavoro

Ispirato alle opere dello scrittore austriaco Stefan Zweig vissuto nella prima metà del ‘900, questo film ambientato proprio in quel periodo, racchiude all’interno di sé una delicatezza unica nel raccontare il momento storico attraverso la metafora di un albergo in decadenza e di una guerra mista a razzismo che sta scoppiando nella repubblica immaginaria di Zubrowka.
Per i primi trenta minuti di Grand Budapest Hotel vengono alternate inquadrature fisse che sembrano quadri in movimento a movimenti di macchina estremamente veloci e lo spettatore non può far altro che rimanere letteralmente stupefatto da queste straordinarie scelte registiche di Anderson. Queste comunque non sono fini a se stesse, ma hanno un’estrema utilità a livello di sviluppo della sceneggiatura, perché permettono infatti al pubblico di entrare immediatamente nell’atmosfera surreale che ha la pellicola, gli permettono di attraversare molto più piacevolmente il prologo iniziale e lo preparano ad un film sicuramente non verosimile.
Passata la prima mezzora bisogna notare che la regia diventa più didascalica, i virtuosismi diminuiscono, ma è proprio perché adesso siamo nel vivo della trama ed è lei incaricata a tenere il pubblico incollato allo schermo ed infatti a parte pochissimi momenti più lenti, i colpi di scena ed i dialoghi ci riescono molto bene.
Un metodo interessante che viene utilizzato per sottolineare quanto l’albergo sia un’isola felice rispetto a ciò che accade fuori è il contrasto dei colori vivi ed accesi dell’interno, rispetto alla scala di grigi che si trovano all’esterno, la scelta poi di colori come il rosso acceso ed il giallo rendono tutto più caldo proprio come se fosse un posto al riparo dalla violenza e dalle malvagità.
Parlando degli attori, straordinari sono stati Ralph Fiennes e Tony Revolori, rispettivamente il concierge dell’albergo ed il lobby boy, nel riuscire a rendere credibili, divertenti e commoventi scene alquanto surreali e che magari senza la loro interpretazione non avrebbero reso così tanto.
In conclusione il voto è 9.5. Wes Anderson sembra aver raggiunto definitivamente la maturità, perché è molto difficile non esagerare mai in un film del genere e rischiare di perdere l’efficacia narrativa e l’attenzione del pubblico, ma lui ci è riuscito mescolando una grandiosa direzione degli attori ad un’impeccabile ed originale regia.
Damiano Baccetti