
Procede in maniera altalenante il concorso veneziano. In questi giorni sono stati presentati due lavori molto diversi tra loro, uno riuscitissimo (tra i migliori del concorso sinora) l’altro invece molto deludente (tra i peggiori del concorso sinora). Il primo è un’opera dal titolo lunghissimo, A pidgeon sat on a branch reflecting on existence, ed è l’ultima fatica del veterano regista svedese Roy Andersson. Composto da 39 inquadrature fisse, studiate alla perfezione nella composizione e facenti da palcoscenico per gli attori che vi sfileranno dentro e interagiranno con lo spazio, la pellicola è di ottima fattura anche per i contenuti che continuano a stuzzicare riflessioni legate all’esistenza umana senza mai però appesantire la visione. Il film infatti è molto ironico e spiritoso, affascinante e divertente, con dei personaggi molto buffi e grotteschi che provano ad evadere dalla scena in cui sono collocati e, di conseguenza, dal loro piccolo mondo. Gli ambienti del film infatti, sono una chiara metafora alla vita ed al mondo in cui viviamo, sempre soggetto all’imprevedibile e in continuo mutamento. Un piccolo gioiellino, speriamo che la giuria ne riconosca le doti.
Totalmente di opposto risultato è invece il film di Abel Ferrara che, sempre in concorso, presenta Pasolini. Il lavoro prova ad indagare gli ultimi giorni di vita dell’autore italiano ma purtroppo risulta poco lucido, frettoloso e a tratti amatoriale. Sia per una regia posticcia, sbadata, poco curata nei dettagli, sia per una sceneggiatura del tutto superficiale e dai poveri contenuti filologici (viene da chiedersi se Ferrara abbia studiato le opere dell’autore prima di mettersi al lavoro per questo titolo), Pasolini delude soprattutto nella parte finale troppo buonista e onirica.
Presentato invece nelle Giornate degli Autori, Ritorno a Itaca è l’ultima fatica di Laurent Cantet, regista palma d’oro a Cannes con il film La classe. Il lungometraggio non convince del tutto, mettendo in scena degli amici chiacchieroni che parlano della vita e portano alla luce dei rancori passati e mai affrontati faccia a faccia. Ricercando lo stile del film che gli valse il primo premio a Cannes, il regista incolla la macchina da presa ai personaggi proprio per cercare di scovare ogni singola espressione del viso e ricercare emozioni. Emozioni che però non arrivano alla spettatore troppo annoiato dal minutaggio della pellicola e dalle battute poco frizzanti dei dialoghi. Alcuni passaggi sono degni di nota, il film è ambientato a Cuba e il regista vince la sfida di riuscire a far respirare l’aria del posto pur senza inquadrare la città e l’ambiente, ma questo non basta per rendere l’opera qualcosa di valido al cento per cento.
Simone Soranna