A Venezia un cinema italiano malato di “Gomorrite”

Siamo alle ultime battute di questa deludente mostra del cinema di Venezia. Gli ultimi colpi sono stati presentati tra ieri e oggi. Fuori concorso ennesimo film italiano che tratta di mafia, un documentario satirico realizzato da Sabina Guzzanti. Che piaccia o meno, la regista propone sempre dei film che si avvalgono degli stessi pregi e degli stessi difetti delle pellicole precedenti. Il pregio de La Trattativa è quello di riuscire ancora una volta a descrivere in maniera chiara, semplice, lineare, a tratti originale, divertente e satirica una tra le più scottanti e crude realtà del nostro paese, ovvero la trattativa (o presunta tale) tra governo italiano e Mafia avvenuta attorno alla prima metà degli anni ’90. I difetti della pellicola però, come sempre, riguardano la sfera contenutistica. La Guzzanti non va mai oltre il noto o il reperibile, costruendo dunque documentari stimolanti per i neofiti alla materia, ma inutili per chi invece conosce già minimamente l’argomento. Inoltre, la regista spesso alza l’asticella sostenendo tesi interessanti e molto critiche, ma non porta le dovute argomentazioni e le prove necessarie per convincere il pubblico che effettivamente la sua è una posizione veritiera.
Sempre fuori concorso è approdato l’ultimo lavoro di un amico del festival, Joe Dante. L’autore è da sempre un regista giocherellone che ama divertirsi come un bambino realizzando i suoi film. Piccoli mostriciattoli, giocattoli militari, toni horrorifici e stravaganti sono solo alcuni esempi del cinema che il regista mette in scena. Con questo suo ultimo lavoro non ci risparmia nulla, raccontando una classica storia d’amore (dove lui vorrebbe lasciare lei ma non ha il coraggio di farlo anche se l’arrivo della terza dovrebbe stimolarlo maggiormente) ma facendolo in salsa zombie. Il film non ha nessuna pretesa autoriale, è divertente, scorrevole e con i giusti tempi comici (si ride molto). Ma la bravura del regista è anche quella di riuscire a gestire tutto questo materiale presentandolo attraverso diversi generi cinematografici. Una sorta di jam session efficace e cinefila che farà contenti sia gli spettatori più esperti ed esigenti, che il pubblico meno appassionato.
Ultimo film a essere presentato in concorso invece (e forse sinora peggior concorrente di questa selezione) è Good Kill, pellicola diretta da Andrew Niccol. Il thriller ambientato a Las Vegas in una base militare che a distanza bombarda il suolo palestinese è la solita minestra riscaldata di un militare in crisi esistenziale che inizia a essere stufo di dover eseguire ordini come una marionetta senza poter avere voce in capitolo. Il tutto sarà alla base dei suoi problemi che, ovviamente, coinvolgeranno anche la relazione con sua moglie. L’happy ending è tanto scontato quanto fastidioso, ma soprattutto il percorso che il personaggio compie prima di arrivare ai minuti finali rende la pellicola a tratti anche offensiva nei confronti di chi quei drammi li vive davvero. Una superficialità contenutistica presente per tutta la durata del lavoro, unita ad attori in scarsa forma e ad una tensione che manca (elemento piuttosto significativo per un film che rientra in questo genere) sono i fattori che contribuiscono al fiasco. Viene da chiedersi come mai sia entrato nella selezione ufficiale veneziana.
Infine l’ultimo film nostrano svarcato alla mostra, Perez, di Edoardo De Angelis. Lo spunto iniziale di questo thriller intimista diretto da De Angelis è molto interessante. Perez è un avvocato di serie C interpretato degnamente da Zingaretti che si infila in affari con la Camorra da cui poi cercherà di uscirne per salvare lui e sua figlia. Il film però perde ben presto l’impatto ed il brio iniziale andando a costruire una storia poco credibile e ben lontana dai binari su cui inizialmente viaggiava. Per far fronte a ciò, De Angelis punta tutto sull’interpretazione centrale e riuscita di Zingaretti ma sembra quasi tralasciare il resto degli elementi che quindi gravano sulla mancata riuscita finale. L’opera comunque sia è una delle migliori pellicole italiane presentate in rassegna al Lido ed è curioso notare come ancora una volta (dopo Anime Nere, Patria, La Trattativa, Belluscone, Arance e Martello) i film nostrani sembrino essere interessati alla criminalità organizzata, ambientando storie e personaggi in universi che orbitano attorno a questa sfera. Siamo di fronte ad una vera e propria passione tematica che porta gli autori a voler denunciare propriamente queste realtà, oppure è l’ennesima crisi di idee che spinge i produttori a spremere fino all’ultimo centesimo la nuova gallina dalle uova d’oro nata sotto il nome di Gomorra?
Simone Soranna