Con Il ragazzo invisibile la magia del quotidiano fa strike

Ci sono molti modi per raccontare i disagi dell’adolescenza. Il rapporto con la famiglia, i primi amori, le crudeltà dei coetanei, la difficoltà di crescere e trovare il proprio spazio nel mondo. E farlo con un mezzo come il cinema e con il linguaggio dei supereroi permette non solo di parlare di giovani, ma direttamente ai giovani. Con Il ragazzo invisibile Salvatores torna ad assecondare il fascino per la fantascienza – si veda Nirvana – e l’attenzione per il mondo dei più piccoli, già declinato in Io non ho paura e L’educazione siberiana, e dimostra, con un film poetico, raffinato e al contempo divertente, che non servono blasonati Studios né effettoni speciali “stars and stripes” per fare un buon prodotto che mescoli le avventure mascherate in stile Marvel alla spy story e al fantasy.
Anzi, ci ricorda le infinite potenzialità del cinema di casa nostra, complice un cast azzeccato. Oltre a Valeria Golino – una certezza -, funziona anche Fabrizio Bentivoglio – di solito poco entusiasmante, qui con un ruolo sopra le righe che esalta il suo potenziale comico –, così come il team di giovani esordienti. La storia (di formazione) è quella di un ragazzino spaurito e vittima dei bulletti della scuola che si riscatta da un’esistenza vissuta nell’ombra diventando un supereroe. Con salvataggi, combattimenti e sconfitta del male (qui incarnato da una setta di cattivissimi russi che rapiscono e studiano i bambini dotati di super poteri, chiamati “Gli Speciali”) come si conviene ai cliché del genere. Sullo sfondo di una città marittima, Trieste, che sempre seguendo le linee guida del genere della Favola appare indefinita, senza tempo e senza spazio, si snoda la vicenda di Michele (Ludovico Girardello), alle prese con le difficoltà, presto tramutate in vantaggi, del superpotere dell’invisibilità. Attingendo dal background dei fumetti (gli sceneggiatori Fabbri, Rampoldi e Sardo sono tra l’altro autori di una graphic novel presentata a Lucca Comics) e dai precedenti del genere, da Spiderman a Gli Incredibili passando per gli X-men, Salvatores riesce a confezionare un film su più livelli, godibile sia sul piano letterale – le avventure di un giovane supereroe -, che su quello metaforico – l’invisibilità come condizione esistenziale -. Una favola per tutta la famiglia, dunque, che ogni spettatore può leggere e interpretare come più desidera. Lascia qualche dubbio il finale, che sembra alludere ad un sequel e che, anche per questo ammiccamento, “americanizza” un prodotto, fino agli ultimi minuti di girato, orgogliosamente avulso da ogni debito di forma nei confronti del cinema statunitense. Il regista si riscatta però dalla “caduta” con i titoli di coda – assolutamente da non perdere – dove, mostrando gli ingranaggi del film, strizza l’occhio al meta cinema, prendendo così le distanze dall’illusione di realtà a tutti i costi e rientrando nei ranghi di quello sperimentalismo caro alla tradizione culturale Europea e di cui anche Salvatores, in più occasioni, ha mostrato di saper fare buon uso.
Alice Baccini