L’amore bugiardo, uno specchio per la crisi dei tempi moderni

L’equilibrio di una coppia dell’upper class newyorkese spezzato dalla misteriosa scomparsa della moglie; una solerte detective che segna con i post-it le macchie di sangue; i toni cupi della provincia americana. Poi metti David Fincher dietro la macchina da presa e il thriller d’autore è fatto. Ma L’Amore bugiardo è molto di più. E’ un’analisi sociale del nostro mondo occidentale, con la crisi economica, il vuoto dei rapporti, la morbosità dei media e dei vicini di casa sempre pronti a speculare sui fatti di sangue, gli avvocati che sembrano personal trainer, i mariti fedifraghi e le mogli remissive. O almeno in apparenza. Perché Fincher, ancora una volta dopo Seven e Fight Club, si diverte a mescolare le carte e confondere lo spettatore, illudendolo che la realtà sia quello che si vede.
Niente di più lontano dal vero. L’idillio si fa tragedia, vittime e carnefici si scambiano l’abito (a tutto vantaggio della rappresentazione stereotipata del femminile, che qui ricorda le divinità ctonie), le certezze – di personaggi e spettatori – crollano per lasciare spazio al male, unico punto fermo. Un intreccio complesso e macchinoso, dunque, quello confezionato dalla sceneggiatrice Gillian Flynn – che è anche autrice del romanzo da cui il film è tratto – e formalizzato dal regista con inquadrature che indugiano sui volti della coppia Ben Afflek Rosamund Pike (bravissimi), quasi ad indicare allo spettatore che va cercata lì la chiave di risoluzione del giallo (ma è davvero un giallo?): dentro i protagonisti, cogliendo indizi da sguardi e piccoli gesti. Un thriller che si fa psicologico nella seconda parte, quando sembra iniziare un altro film – un po’ Il fu Mattia Pascal, un po’ La donna che visse due volte – la cui lunghezza, apparentemente eccessiva (ma è marchio distintivo di fabbrica Fincher), è smorzata da un umorismo noir che alleggerisce la tensione provocata da una conclusione che di fatto si allontana ogni volta che la risoluzione sembra vicina. Il nihilismo impera e a farne le spese è il matrimonio-istituzione, qui irriso, con la logica del contrappasso, proprio nella formula del “per sempre”. Finale aperto, circolare e ambiguo. E se il tempo e il racconto fossero solo interiori? Qualunque sia la risposta, di certo non è rassicurante.
Alice Baccini