Fumetto made in Italy, dal passato le basi per il rilancio




Il fumetto italiano, specie quello umoristico, è morto o ha ancora qualcosa da dire? Questa l’annosa domanda a cui alcune delle maggiori firme del disegno italiano hanno provato a dare una risposta questo pomeriggio (2 novembre) nell’auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca. L’occasione era di quelle davvero importanti: nell’ambito di 100 di queste nuvolette 1968-2018, l’iniziativa che vuole celebrare i maggiori fumetti Made in Italy, si festeggiavano i primi 50 anni di due pietre miliari degli albi tricolori: Sturmtruppen e Cattivik, due opere nate dalla penna di Bonvi (nome d’arte di Franco Bonvicini). Tra i relatori, nomi di spicco come Alfredo Castelli (ideatore di Martin Mystere), Silver (creatore di Lupo Alberto) e molti altri. L’occasione è stata buona per ripercorrere tutta la storia del fumetto italiano (con il bravissimo Luca Boschi), dalle prime tavole dell’immediato dopo guerra, fino al boom degli Sessanta per poi arrivare ai giorni nostri. Durante la chiacchierata è emerso come questi due personaggi fondamentali abbiano ricevuto la loro definitiva consacrazione proprio a Lucca all’epoca del Salone del Fumetto.
Nell’edizione in cui Lucca Comics & Games celebra il Made in Italy, non poteva mancare un omaggio a questi due grandi personaggi che festeggiano quest’anno il mezzo secolo di vita.
I due compleanni sono stati l’occasione per parlare della tradizione del fumetto umoristico in Italia con autori ed esperti, moderati da Pier Luigi Gaspa, in un incontro-seminario che ha alternato ricordi e nuove idee.
A raccontare la nascita di Sturmtruppen è stato Guido Silvestri, in arte Silver: “Sturmtruppen divenne famoso nel 1968, quando vinse un concorso indetto da Paese Sera. Avevo 13 anni all’epoca”. “Non è esatto – lo corregge subito Luca Boschi (fumettista, giornalista e blogger) -. Le cronache dell’epoca riportano che in realtà non vinse, anche se si mise molto in luce. Il riconoscimento effettivo avvenne proprio in questa città”. “Quando Lucca era Lucca”, aggiunge Silver”. “Dove potevi incontrare seduto su una panchina Guido Buzzelli (considerato uno dei grandi maestri del fumetto italiano, ndr) e chiacchierare con lui per ore” si unisce al coro Pier Luigi Gaspa.
“Di questo fumetto – prosegue Silver – mi colpì subito il segno assolutamente innovativo: disneiano ma denso di colori lugubri allo stesso tempo. Si adattava molto bene a questa striscia che rappresentava lo scenario del campo di battaglia”.
“Per far quadrare i conti, all’inizio della sua carriera Bonvi si dedicò anche ad altre serie minori – prosegue Silver – Tra queste ce n’era anche una che faceva il verso a Diabolik, un personaggio che aveva creato all’università: Cattivik. Attraverso questa striscia lui prendeva in giro i protagonisti della vita modenese ma quando ebbe successo gli diede un taglio nazionale. A quel punto Bonvi ebbe bisogno di collaboratori e fu così che cominciai a lavorare con lui. Credo che Cattivik sia stata la sua creazione migliore. Un personaggio straordinario, che affronta a 360 gradi la vita quotidiana. Mi divertiva molto disegnare questo personaggio perché ti da un sacco di libertà: Cattivik può fare di tutto, per questo piace”.
Ma come ci si avvicina ad un personaggio che non è il proprio dovendo scriverne le storie? A rispondere a questa domanda è stato lo sceneggiatore Moreno Burattini: “Cattivic è stato un personaggio che ho amato tantissimo da lettore, rileggendo le vecchie strisce rido ancora oggi come facevo da ragazzo. Prima di iniziare a lavorarci insieme ebbi l’opportunità di intervistare Bonvi e lui mi disse che Cattivik non era una semplice parodia di Diabolik ma qualcosa di più: era una protesta contro la società. Lui faceva i dispetti come ribellione verso la società. Ero innamorato di questo personaggio e quindi ho cercato di sipirarmi ai grandi maestri”.
“Bonvi diceva sempre che Cattivik è una macchia – si inserisce Silver –. Non è importa se è umano o personaggio antropomorfo, l’importante è che sporchi. Con questo personaggio ci si poteva spingere parecchio in la”.
“Visto che Cattivik è un personaggio molto scorretto, il nostro editore non ci correggeva mai – aggiunge Massimo Bonfanti, altro disegnatore della serie -. Quindi ognuno poteva arricchirlo con qualcosa di suo. All’inizio cominciai a lavorare su questo fumetto come nerista (la figura che colora i neri nelle strisce, ndr). Questo ci permetteva di metterci in tasca qualche soldo ma soprattutto ci dava la possibilità di fare questa magia: di mettere le mani su delle tavole che poi sarebbero state pubblicate”.
“Non vi ho mai censurato – precisa Silver scherzando – tranne quando cercavate di ‘coglionarmi’ mettendo nelle tavole immagini allusive, tipo la banana vicino alle due noci di cocco”. “Non te ne sei ma fatta scappare una”, replica Bonfanti tra le risate della sala.
Quello degli anni Sessanta fu un periodo d’oro per il fumetto italiano ma qual è la situazione oggi? E qui si apre l’interessante dibattito. “È un fatto evidente che la carta stampata sia ormai agonizzante ma trovo abominevole che oggi ci siano dei professionisti costretti a riempire la rete di contenuti gratuitamente nella speranza che un giorno arrivi un editore che decida di investire su di loro”.
In questo dibattito si inserisce Alfredo Castelli: “Studi dimostrano che i fumetti che nascono online possono funzionare anche sulla carta stampata ma non il contrario. Parliamo di ‘fenomeni’ come Sio o Zero Calcare che però, appunto, sono fenomeni. Sio, ad esempio, secondo me fa anche delle cose molto divertenti ma pensate per un pubblico mirato, per uno specifico target, per cui ha studiato un linguaggio specifico, anche un po’ scioccherello. Noi ormai siamo un po’ fuori età per questo genere di fumetti. Apparteniamo ad un’altra generazione e ci fanno ridere altre cose. Anche in questo c’è un ricambio generazionale, indipendentemente dalla qualità di quello che viene proposto”.
“Penso che il fumetto non sia morto ma che vada ricostruito – conclude Castelli -. Ciò che è morto sono le riviste. Con internet siamo entrati nel mondo dello spettacolo, dove non funzionano più le logiche editoriali: ci avviciniamo molto di più alla televisione che non alla carta stampata. Personalmente, è un mondo che non sento mio”.
“Penso che la differenza più importante sia che le mie strisce mi hanno fatto compagnia per una vita e lo fanno ancora oggi – aggiunge Moreno Burattini -. Temo che questo non funzioni per gli youtuber. Non è fumetto. Non rimane”.
Una possibilità di rinascita al fumetto italiano la da, in conclusione, Massimo Bonfanti: “Quando venivamo a Lucca qualche anno fa c’erano piccoli gruppetti sparsi qua e la di gente vestita in maniera strana, non c’era pubblico. Oggi questo pubblico c’è: c’è grande interesse intorno al mondo del fumetto, va solo saputo intercettare”.