La ‘ndrangheta che fa affari nel mondo nelle parole di Nicola Gratteri a Lido Cult

Il magistrato: "Presto nelle mani delle nostre mafie le armi provenienti dai conflitti". L'appello: "Bisogna investire in istruzione"

È stata una serata di grandissimo successo quella che ha visto protagonista il procuratore della repubblica al rribunale di Catanzaro Nicola Gratteri in qualità di ospite del sesto appuntamento di Lido Cult, l’evento promosso dalle associazioni degli albergatori e dei commercianti di Lido di Camaiore e curato dai giornalisti Laura Muzzupappa e Marco Aureli.

Non c’è stato soltanto il sold out dei posti a sedere, ma anche la presenza di decine e decine di persone che si sono assiepate ai lati della platea per ascoltare l’intervista condotta con sapienza dalla giornalista del Tg1 Emma D’Aquino. Al centro dell’intervista l’ultimo lavoro di Gratteri Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo, edito da Mondadori e scritto insieme allo storico Antonio Nicaso. Un libro nel quale Gratteri racconta la smisurata espansione degli interessi dell’organizzazione criminale originaria della Calabria; segnala le enormi opportunità di business e malaffare offerte alla ’ndrangheta da ogni sorta di emergenza nazionale e internazionale, come dalla guerra in Ucraina e dalla pandemia. Racconta la penetrazione nei paesi europei e un po’ in tutti i continenti del business mafioso, con il ricatto e con la minaccia, con il denaro e con la violenza.

Il procuratore di Catanzaro comincia con un capitolo che ritiene fondamentale nella lotta al sistema mafioso: la cultura e, soprattutto, l’educazione dei giovani. “Faccio un invito alle scuole e agli insegnanti: portate i ragazzi a visitare una comunità terapeutica, fategli conoscere la storia di quei giovani. È un’esperienza che li allontanerà dalle droghe. Io penso che ognuno di noi debba impegnarsi nel sociale, per chi ha bisogno. Io vado anche nelle scuole a parlare con i ragazzi e spiegare loro la non convenienza a delinquere”. “Stiamo vivendo – continua Gratteri – con generazioni di giovani che non sanno l’italiano, parlano solo in dialetto e se non fosse per il T9 del cellulare scriverebbe frasi incomprensibili. E purtroppo negli ultimi decenni i governi che si sono succeduti non hanno investito in istruzione. Così oggi, sul piano europeo non siamo competitivi. Senza una buona istruzione non si può perseguire quella crescita culturale che serve ad annichilire le mafie”.

Quanto ai nuovi scenari, Gratteri spiega come la ’ndrangheta andasse “in Bosnia e Montenegro per comprare le armi”, e come l’attuale guerra russo-ucraino è stata capace di portare anche le mafie ucraine in Occidente. “I mafiosi sono fuggiti dalla loro terra, sono dei vigliacchi che sparano alle spalle. La guerra la fanno medici, ingegneri, operai e contadini. I mafiosi no. E ora che sono in Europa fanno qui i loro affari. Perché, chiedo, non è stato pensato un sistema di tracciamento di armi micidiali che ora sono già sul mercato e che con 30mila euro si acquistano e sono potenti, dieci volte più potenti di un bazooka, distruggono un carro armato? Quelle armi presto saranno nelle mani delle nostre mafie”.

Una parte fondamentale del sistema mafioso regge sul traffico di droga, lo sappiamo e la domanda a Gratteri è: in che modo si può fermare il traffico di droga nel mondo? “È difficilissimo, e ancora di più quello delle droghe sintetiche che vengono create sempre nuove, sono impossibili da fermare. Le tabelle registrano le droghe da perseguire, ma non includono le nuove droghe, quindi le tabelle sono superate, si dovrebbe perseguire tutto ciò che è stupefacente”. Mentre per le droghe naturali “sarebbe possibile. Negli anni si è cercato di eliminare le piantagioni di coca, ma i soldi stanziati da organismi sovranazionali non sono mai arrivati ai contadini che sopravvivono coltivando coca. Nè i governi dei tre paesi produttori, Colombia, Perù e Bolivia, accetterebbero una forza internazionale che sostituisca la propria polizia. Se si volesse davvero fermare questo mercato si dovrebbero controllare i precursori chimici indispensabili alla preparazione della cocaina”.

Si coglie nell’intervista quanto il procuratore sia legato ai suoi affetti più cari e come sia difficile proteggerli dai rischi a cui il suo impegno espone anche loro. Gratteri infatti vive sotto scorta dal 1989, legato a rigide regole per la sua incolumità personale. “Sono fortunato. Faccio un lavoro che mi piace. Ho mia moglie cui nel 1989 hanno sparato, un colpo di pistola al portone di casa, poi le hanno telefonato e detto: lascia stare di sposare quello, stai sposando un uomo morto. Lei non si è fatta intimidire, ha continuato. Grazie a lei, il mio lavoro non mi ha tolto la famiglia, anche se capitava che rincasavo e i miei figli piccoli faticavano a riconoscermi. Io non potevo andare alle recite, mia moglie mi telefonava e descriveva l’abito e le scene, così quando i miei figli mi chiedevano perché non sei venuto, rispondevo: non mi hai visto? C’ero, tu indossavi questo, è successo quest’altro e forse non mi hai notato perché ero in fondo”.

Il successo straordinario delle sue indagini ha dato a Gratteri una tale visibilità che anche il cinema si è avvicinato alla sua figura ma “ho rifiutato di scrivere una sceneggiatura, perché questi film sono solo violenza e non raccontano che questo; e ogni volta hanno bisogno di una dose in più di violenza. Come posso scrivere un film così, quando vedo che il giorno dopo i ragazzini si vestono e usano gli stessi atteggiamenti che hanno visto in questi film?” Invece vi faccio un invito – e torna sulla questione dei giovani – Le scuole si stanno trasformando in un “progettificio”. Lo dico agli insegnanti, portate i ragazzi a visitare una comunità terapeutica, fategli conoscere la storia di quei giovani. È un’esperienza che li allontanerà dalle droghe.

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