Strage Viareggio: “Regione negò muro in via Ponchielli”

28 maggio 2014 | 16:10
Share0
Strage Viareggio: “Regione negò muro in via Ponchielli”

Dopo essersi ribaltata, la cisterna carica di gpl impattò con un picchetto tagliente. E’ quanto ricostruito dall’ispettore della polizia ferroviaria Angelo Laurino durante il processo per la strage di Viareggio del 29 giugno 2009, parlando delle cause dello squarcio da cui fuoriuscì il gas che, esplodendo, uccise 32 persone. Ed è proprio la causa dello squarcio uno degli elementi chiave del processo. Secondo l’accusa fu il picchetto: si tratta di uno spezzone di rotaia sporgente almeno 5 centimetri, che serve a
indicare le curve. Per la difesa fu un elemento indispensabile dello scambio, la deviata a zampa di lepre. Per l’accusa nel 2009 già vi erano elementi che avrebbero dovuto suggerire la pericolosità dei picchetti. Gli inquirenti hanno ricordato, per esempio, che nel 2001 Rfi aveva emanato una circolare affinché, in caso di ammodernamento delle linee, venissero sostituiti, così come avvenuto con le linee alta velocità.

L’ispettore Laurino ha spiegato che anche la deviata a zampa di lepre presentava una deformazione, ma ne ha attribuito la causa all’impatto con il carrello del vagone, e non con la cisterna. Riferendosi alle cause del deragliamento “al semplice esame visivo dell’assile – ha concluso Laurino – fu abbastanza chiaro che ci fosse stata la frattura del fusello” dell’assile.
A testimoniare anche Claudio Menichetti, uno dei testimoni del pm al processo e padre di Emanuela, una delle vittime della strage nonché marito di Daniela Rombi, una delle anime dell’associazione Il mondo che vorrei: “Alle 3 del mattino – dice – ci arrivò una telefonata. Era mia figlia Emanuela. Disse a mia moglie: “C’è stato un incidente, ma non ti preoccupare, non mi sono fatta niente”. Dopo 42 giorni di agonia è morta. Quando arrivammo all’ospedale, e il primario ci disse che Emanuela stava malissimo, mia moglie svenne. Poi una domenica eravamo alla messa ed è arrivata una telefonata, ci hanno detto che l’encefalogramma era piatto. La notte prima mia moglie si era sognata che Emanuela la stava massaggiando, è stato l’ultimo suo saluto. Io e mia moglie siamo andati in cura dagli psicologi. Io ho preso farmaci per due mesi, poi ho smesso: voglio essere lucido nella mia rabbia. E’ successa una cosa che non dovrà mai più accadere. Se la sede ferroviaria non è un biliardo, non bisogna farci circolare sopra delle bombe”.
Un sopravvissuto, Rolando Pellegrini, ha ricordato che, nel 2001, 76 abitanti di via Ponchielli scrissero una lettera alle Ferrovie per chiedere “una protezione per la strada, che ci fossero barriere, visto che passavano tanti convogli. Davanti a casa mia stazionavano sistematicamente convogli con impresso il marchio del teschio. Un muro avrebbe sicuramente reso meno grave il bilancio dei morti. Anche ora abito vicino alla ferrovia, ma sono stati tolti due binari e c’è un muro, credo si possa stare tranquilli”. Dopo la testimonianza di Pellegrini, uno dei difensori ha ricordato che ”il progetto per la barriera
antirumore era già in iter, ma è stata bloccato dalla Regione, che negò il permesso”.