Licenziato perché accusato di furto, sciopero alla Gambini

Un lavoratore licenziato per giusta causa, dopo essere stato accusato di essersi impossessato di alcuni sacconi di carta igienica. Una circostanza che lui stesso avrebbe ammesso, sostengono i sindacati, ma che ha scatenato l’agitazione nell’azienda in questione, la Gambini Spa di Badia Pozzeveri ad Altopascio. Oggi, infatti, a seguito del licenziamento scattato l’11 giugno scorso, i lavoratori hanno organizzato 4 ore di sciopero con presidi ai cancelli dell’azienda. Non per solidarizzare con il lavoratore in questione, spiega Mauro Rossi, segretario della Fiom Cgil di Lucca, ma per protestare contro “eccessi nelle misure sanzionatorie”.
“La ditta Gambini spa – si legge in un volantino scritto dal sindacato – ha licenziato un suo dipendente, padre di una famiglia monoreditto con un figlio di appena 5 anni e con un’anzianità di servizio di 20 anni raggiunta nel mese di Maggio, per giusta causa. La ditta Gambini accusa infatti il lavoratore di avere sottratto in modo fraudolento addirittura due sacconi di carta igienica. L’atto del lavoratore ha talmente scioccato il titolare della Gambini da fagli valutare la possibilità di ’esporre i fatti alla valutazione dell’Autorità giudiziaria penale’”.
“Di seguito – prosegue il sindacato – si dimostrerà come, sebbene la colpa del lavoratore sia evidente e da lui stesso ammessa, la decisione aziendale sia quantomeno eccessiva e tale da far pensare che sia guidata dalla volontà di liberarsi di un lavoratore ritenuto non confacente alla “filosofia” aziendale attraverso lo strumento economicamente migliore per l’azienda stessa. Innanzitutto si contesta al lavoratore la sua presenza in azienda alle 8 circa, quando l’orario di lavoro iniziava alle 8,30, e si utilizza la circostanza come una prova della condotta fraudolenta e soprattutto premeditata dello stesso. Tuttavia la direzione aziendale ha indirettamente confermato che, per i dipendenti il cui orario di lavoro inizia alle 8,30, è ammessa la presenza e la timbratura a partire già dalle 8,01. Inoltre nella lettera di licenziamento non viene riportato in nessun punto un orario preciso ma viene scritto appunto ’alle 8 circa’. Infine è facilmente dimostrabile che era abitudine del lavoratore stesso iniziare la propria giornata lavorativa molto prima del limite temporale stabilito. Per questi motivi è del tutto verosimile supporre che il lavoratore fosse arrivato alle 8,01 e pertanto la sua presenza in azienda fosse del tutto lecita: in definitiva l’ora in cui è accaduto il fatto è da considerarsi meramente un dato temporale e non una prova, come il tono della lettera di licenziamento fa supporre”.
“In secondo luogo – prosegue Fiom Cgil – l’azienda cerca nella lettera di licenziamento di dimostrare che la gestione e l’eventuale distribuzione dei prodotti realizzati durante i collaudi delle varie linee siano soggetti ad un preciso protocollo interno.Tra l’altro, nel riportare l’episodio di un precedente richiamo verbale che il lavoratore licenziato ha avuto in data 19 giugno, si indica la presenza in uno degli stabilimenti della Gambinidi una fantomatica area di stoccaggio del prodotto. Nulla di più falso. In Gambini non esiste alcuna zona recintata od al limite opportunamente indicata in cui i prodotti dei vari collaudi vengono stoccati. Questi ultimi, come sanno tutti i colleghi del lavoratore e come è facilmente verificabile da varie immagini fotografiche, sono semplicemente accatastati in prossimità delle linee in collaudo ed in alcuni casi anche in prossimità degli accessi agli stabilimenti che tra l’altro, soprattutto nei mesi primaverili ed estivi sono lasciati aperti anche in assenza dei lavoratori. Inoltre nei casi in cui il prodotto realizzato durante i collaudi non siano soggetti a vincoli di segretezza aziendale a livello contrattuale e quindi può essere distribuita ai lavoratori, anche qualora venga data autorizzazione da parte del direttore di Produzione al prelievo di un numero di sacchi ben determinato non è messo in opera alcun controllo sulle operazioni di prelievo dei vari dipendenti, non viene nemmeno preparata una semplice lista dei nominativi dei dipendenti alla data del prelievo da far loro firmare o da far vidimare ad un responsabile delle operazioni. In definitiva le operazioni di prelievo vengono demandate dall’azienda alla responsabilità ed alla correttezza di ciascun lavoratore. Purtroppo ciò ha comportato nel corso degli anni ad assistere a quelle situazioni che il lavoratore ha cercato, purtroppo maldestramente per lui, di identificare come l’effettiva realtà aziendale. Tra l’altro, in riferimento al prodotto oggetto del furto, alla data dell’accaduto nelle bacheche aziendali non vi erano comunicazioni scritte sulla mancata autorizzazione al suo prelievo. Tra l’altro non si capisce nemmeno quando l’azienda abbia effettuato la sua accurata verifica in merito, visto che alcun lavoratore sia stato interrogato in merito. Un altro punto su cui l’azienda pone l’accento è il maldestro tentativo che il lavoratore ha effettuato per nascondersi una volta resosi conto della presenza del direttore tecnico e che egli ha comunque ammesso nelle giustificazioni scritte che ha presentato. Per l’azienda tale comportamento è quello che lo ha equiparato ad un ladro. Forse l’azienda dimentica il complesso rapporto che si è venuto a creare tra il lavoratore ed il direttore Tecnico, e forse ha dimenticato il demansionamento che lo stesso ha subito in un recente periodo, che è venuto meno solo per il riassetto aziendale che ha portato alla nascita dell’Ufficio Ask Gambini ed al conseguente spostamento di forza lavora dall’Ufficio di cui fa parte il lavoratore”.
Ma il sindacato ricorda anche recenti sentenze. “Infine, anche volendo rigettare in toto i vari punti qui evidenziati, va ricordato che anche la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 17739 del 29 agosto 2011, ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un lavoratore qualora, come nel caso in oggetto, il valore o l’entità della merce rubata sia di piccola entità. La Cassazione, pur riconoscendo la ’scorrettezza del comportamento del prestatore di lavoro’, ha giudicato lo stesso meritevole di una più lieve sanzione, quale ad esempio una conservativa del posto di lavoro, anche sospensiva di minore entità, rispetto al licenziamento in tronco da essa giudicata incongrua anche alla luce dell’anzianità di servizio. L’irrogazione di una sanzione disciplinare massima può per la Cassazione essere giustificata solamente quando ci si trovi in presenza di un notevole e gravissimo inadempimento contrattuale tale da non consentire , nemmeno in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro”.