





Ha confermato la sua confessione e ammesso tutte le sue responsabilità anche nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al sostituto procuratore Antonio Mariotti. Massimo Donatini, il caldaista di 43 anni che si è costituito stamani dopo aver ucciso attorno alle 7 il suo capo alla Lucart, Francesco Sodini (Leggi), ha risposto alle domande del pm, confermando di essere stato lui a scaricare 13 colpi di pistola contro l’uomo che riteneva causa di un suo presunto imminente licenziamento.
Ma ci sono ancora troppi dubbi sul movente indicato già in mattinata a polizia e carabinieri dal killer che si è presentato spontaneamente nella caserma di Cortile degli Svizzeri, consegnando l’arma del delitto. La versione resa dall’operaio di Camigliano, sposato e con un figlio che ha appena compiuto tre anni, non convince fino in fondo gli inquirenti e il magistrato, che ha disposto ulteriori accertamenti e verifiche per mettere insieme i tasselli di un puzzle che ancora non sembrano collimare alla perfezione.
Donatini è accusato di omicidio volontario e premeditato: domani (8 aprile) dovrebbe svolgersi l’udienza di convalida del fermo davanti al gip. Un atto formale ormai, visto che gli investigatori hanno in mano le dichiarazioni spontanee rese in mattinata dall’uomo ai carabinieri e la loro conferma durante l’interrogatorio di garanzia, che si è svolto attorno alle sedici al carcere San Giorgio di Lucca, dove Donatini è attualmente detenuto. Lì è stato condotto attorno alle 15,50 a bordo di una gazzella dei carabinieri, scortata dalla polizia che lo ha tradotto fuori dalla caserma di Cortile degli Svizzeri, dritto in carcere. Nessuna espressione sul suo volto, nessun tentativo nemmeno di nascondersi agli obiettivi e alle telecamere di fotografi e operatori delle tv. Al S. Giorgio, assistito dall’avvocato difensore, Ornella Da Tofori, si è dimostrato collaborativo, rispondendo alle domande degli inquirenti e confermando la versione resa agli investigatori.
Donatini, in particolare, ha spiegato di nuovo di aver visto in pericolo il suo posto di lavoro come caldaista alla Lucart e soprattutto di essersi sentito minacciato da Sodini, che era il capo del suo reparto. Secondo quanto trapelato finora, Donatini si sarebbe ritenuto controllato dalla sua vittima, anche se i colleghi di lavoro e la stessa azienda non hanno confermato che tra i due ci fossero dissapori, definendoli anzi entrambi due lavoratori modello. Non solo. Secondo quanto sarebbe emerso dalle dichiarazioni di alcuni colleghi, i rapporti tra i due erano giudicati piuttosto buoni. Quanto riferito lascia non poco dubitare gli inquirenti. Adesso, anche se il caso sembra risolto, restano comunque tanti interrogativi da chiarire. Risposte da dare in grado di giustificare il fatto che un uomo, incensurato e senza aver mai avuto alcun problema con la giustizia e tanto meno aver mai dato segni di squilibrio, sia uscito all’alba dalla propria casa per percorrere armato circa 8 chilometri a piedi e infierire in modo tanto brutale contro il proprio capo.
Rob. Sal.