
di Roberto Salotti
E’ fissata per domani mattina (9 aprile) alle 9 l’udienza di convalida del fermo di pg nei confronti dell’omicida reo confesso, Massimo Donatini. Il gip Riccardo Nerucci ha ricevuto in mattinata la richiesta di fissazione dell’udienza dal sostituto procuratore Antonio Mariotti, che coordina le indagini di polizia e carabinieri sull’esecuzione di Francesco Sodini, il caporeparto 51enne della Lucart, freddato dal caldaista 43enne di Camigliano con 13 colpi di pistola, mentre raggiungeva la sua auto nel parcheggio di piazza Salvo D’Acquisto a San Filippo, a pochi passi da casa (Articolo e foto).
E mentre il giudice per le indagini preliminari esamina gli atti del fascicolo d’inchiesta prima di presentarsi domani mattina al carcere San Giorgio dove Donatini è rinchiuso da ieri pomeriggio in regime di isolamento con l’accusa di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione, gli inquirenti continuano a lavorare sottotraccia per trovare riscontri al movente del delitto, che per ora è tutto da verificare.
Donatini, nella deposizione resa ai carabinieri, ha spiegato di aver temuto per il suo posto di lavoro alla Lucart di Porcari, dove svolgeva le mansioni di caldaista – come il padre prima del pensionamento – da almeno 25 anni. Ma è stata la stessa azienda a smentire, spiegando che nessun licenziamento era in programma. Donatini però ha detto di essere seriamente preoccupato e che temeva di essere stato controllato con le telecamere in azienda. Nel lungo interrogatorio Donatini avrebbe fatto cenno anche ad alcune riprese con il telefonino ed è per questo che gli inquirenti hanno setacciato computer e utenze telefoniche per trovare riscontri alle affermazioni del caldaista e capire soprattutto se tra lui e Francesco Sodini era accaduto qualcosa che aveva compromesso il loro rapporto. Una relazione lavorativa che i colleghi si sforzano di definire più che buona. Alcuni di loro sono stati ascoltati nelle ultime ore dagli uomini della squadra mobile di Virgilio Russo e dai carabinieri ma nessuno avrebbe confermato screzi o dissapori tra i due. Secondo quanto ha dichiarato agli inquirenti, Donatini temeva che quelle telecamere fossero state installate per lui su ordine del suo caporeparto, al quale in passato avrebbe chiesto di utilizzare per uso privato alcuni bulloni che si trovavano in azienda. A quelle richieste Sodini avrebbe sempre acconsentito. Ultimamente però si era convinto che il suo permissivismo lo avrebbe potuto mettere nei guai e quindi, pensando che volesse in qualche modo incastrarlo, magari denunciandolo per furto, si sarebbe deciso ad ucciderlo. Le telecamere però, si fa notare dagli inquirenti, erano state installate per controllare il funzionamento degli impianti e non certo l’operaio. Questo equivoco potrebbe aver sconvolto Donatini, armando la sua mano contro il caporeparto.
Gli accertamenti tecnici disposti dagli inquirenti, tuttavia, sono ancora alla ricerca di elementi utili a chiarire il “giallo” che si è aperto sul movente.
Le indagini vengono svolte nel più stretto riserbo, anche se ormai la dinamica dell’omicidio appare sufficientemente chiara e non c’è un killer da ricercare. Lentamente emergono comunque altri particolari sul contesto che sarebbe poi sfociato nel terribile omicidio di piazza Salvo D’Acquisto. Secondo quanto trapelato, il killer aveva fatto un sopralluogo davanti casa del suo capo la sera prima del delitto. Dopo aver trascorso con la famiglia la Pasquetta a casa del padre, dove c’è stata la festa di compleanno del figlio che aveva compiuto 3 anni il 4 aprile scorso, si era impossessato della pistola Glock calibro 9×21 da un armadio blindato dove c’erano anche alcuni fucili da caccia legalmente detenuti. In serata, poi, secondo quanto ricostruito, si era diretto a San Filippo, forse per individuare il luogo dove nascondersi e attendere l’indomani la sua vittima.
Quella siepe dietro cui è rimasto l’indomani mattina in attesa di avere il suo capo a tiro. A quel punto, pochi minuti prima delle 7, è uscito allo scoperto, impugnando la pistola e affrontando Sodini scaricandogli addosso tutto il caricatore: 13 colpi, sette inferti alla vittima quando era già a terra. Altri bossoli della stessa pistola vengono invece ricercati dagli investigatori nel luogo che lo stesso Sodini ha indicato: poco dopo essere uscito di casa, attorno alle 5,30 del mattino, il killer ha raccontato di aver provato la pistola sparando alcuni colpi – tre a quanto emerge – in un campo lungo la strada percorsa tra Camigliano e San Filippo.
Tutti elementi che servono anche a confermare la confessione resa da Donatini agli inquirenti. Una versione ritenuta credibile, anche se il movente resta ancora tutto da verificare. Ogni elemento è in cerca di una verifica, con l’obiettivo di chiudere il cerchio sulle circostanze e i motivi che avrebbero armato la mano di Donatini. Qualche elemento in più potrebbe emergere anche nel corso dell’udienza di convalida davanti al gip Nerucci.
Intanto, sempre domani mattina, il medico legale Stefano Pierotti, incaricato dal pm Mariotti, svolgerà l’autopsia sul cadavere della vittima. Alcuni elementi sono comunque già emersi dai primi accertamenti sul cadavere e da quelli svolti sul luogo del delitto dalla polizia scientifica, che ha individuato sette fori nell’asfalto lasciati dai proiettili esplosi dalla Glock del killer. Un particolare che fa ritenere che l’omicida abbia infierito sulla vittima quando questa era già a terra e forse già morta.