Delitto di San Filippo, il killer resta in cella

9 aprile 2015 | 11:14
Share0
Delitto di San Filippo, il killer resta in cella

Massimo Donatini resta in carcere. Così ha deciso il gip Riccardo Nerucci al termine dell’interrogatorio di garanzia e dell’udienza di convalida nei confronti dell’omicida del suo caporeparto, Francesco Sodini, 51 anni, ucciso con 13 colpi di pistola martedì mattina (7 aprile) in piazza Salvo D’Acquisto a San Filippo mentre stava raggiungendo l’auto nel parcheggio per recarsi a lavoro alla Lucart (Articolo e foto). Il caldaista 43enne di Camigliano, difeso dall’avvocato Ornella Da Tofori, che si era costituito dopo una mezz’ora dal delitto resterà nella sua cella del San Giorgio, dove si trova in regime di isolamento e guardato a visto, almeno per il momento.

Il giudice non ha convalidato il fermo non ravvisando il pericolo di fuga del killer che si è consegnato spontaneamente ai carabinieri accusandosi del delitto. Ma ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari, avanzata dalla difesa che annuncia la volontà di presentare ricorso al Riesame per chiedere la scarcerazione di Donatini. Davanti al gip, nel corso dell’interrogatorio durato circa 40 minuti, Donatini ha confermato la versione già resa agli inquirenti senza aggiungere elementi in più rispetto al movente.
Gli investigatori continuano comunque a cercare riscontri al movente del delitto. La pista è ben delineata. Secondo le dichiarazioni rese a verbale agli investigatori, Donatini si era convinto che le telecamere che erano state installate nel reparto caldaie, dove lavorava sotto la responsabilità del capo, Francesco Sodini, fossero state montate per controllare lui. Un equivoco maturato nella mente di Donatini a causa degli scherzi e delle prese in giro di cui lo avrebbero fatto oggetto alcuni colleghi di lavoro, che erano a conoscenza del fatto che in qualche occasione il caldaista di Camigliano aveva chiesto al capo di poter prendere dei bulloni per uso privato. Richieste a cui Sodini avrebbe sempre acconsentito. Ma nella mente del killer era maturata la convinzione che il capo volesse inchiodarlo proprio per questo motivo. Donatini lo ha spiegato più volte agli inquirenti: secondo lui era stato Sodini a farle installare e il fatto che glielo avesse nascosto per lui era una prova della sua presunta malafede. Tutte circostanze che sono state smentite anche dall’azienda: quelle telecamere erano state posizione per controllare il funzionamento di alcuni macchinari e non certo l’operaio. Fra l’altro erano state dismesse circa un mese fa.
Alcuni colleghi, in particolare due, erano a conoscenza delle fobie di Donatini e per questo lo prendevano in giro. Lui si sentiva ormai definitivamente “fuori dal cerchio magico”, estromesso dalle dinamiche tra i colleghi e – era sempre più convinto – vicinissimo a perdere il lavoro. Martedì scorso si era svegliato con la ferma convinzione che se fosse andato al lavoro alle 14 avrebbe trovato pronta la lettera di licenziamento. Nei giorni tra Pasqua e Pasquetta la paura di dover rinunciare a tutto quello che sul lavoro si era costruito in 25 anni di fatiche e dover annunciare alla moglie e al padre che aveva lavorato anche lui alla Lucart che era stato licenziato. Per questo, il giorno prima del delitto, si era impossessato della pistola Glock che era custodita in un armadio blindato a casa del padre e in serata era andato a fare un sopralluogo a casa della vittima per trovare un luogo dove nascondersi e attenderlo per ucciderlo. Poi era tornato a casa, si era messo a letto e alle 5,30 era di nuovo uscito, dicendo alla moglie di voler fare una corsa. Invece, aveva preso la pistola che poco dopo ha provato in un campo sparando tre colpi, e a piedi aveva percorso la distanza di circa 8 chilometri da Camigliano fino a piazza Salvo D’Acquisto, dove si era nascosto dietro una siepe. Poco prima delle 7 il suo capo era uscito di casa e quando lo aveva avuto a tiro lo aveva raggiunto sparandogli sei colpi e infierendo con altri 7 quando la vittima era ormai già a terra. La Lucart ha annunciato che fermerà l’attività per il giorno dei funerali di Sodini: i dipendenti devolveranno un’ora di lavoro ai familiari della vittima, in segno di vicinanza e solidarietà.
L’autopsia. Intanto, dall’autopsia eseguita oggi dal medico legale Stefano Pierotti, incaricato dell’esame necroscopico sul cadavere della vittima dal sostituto procuratore Antonio Mariotti, giungono alcune conferme sulla dinamica in cui si è compiuta l’esecuzione. Serviranno tuttavia ulteriori accertamenti per stabilire con esattezza quanti colpi dei tredici effettivamente esplosi hanno attinto il corpo di Francesco Sodini. E’ per questo che il medico legale ha sottoposto il cadavere ad una tac total body: con quei dati potranno essere compiuti i riscontri con le indagini balistiche della scientifica. Sul corpo della vittima sono stati rinvenuti molti più fori rispetto ai proiettili sparati. Una circostanza che il medico legale attendeva fin da subito da riscontrare, visto che l’esecuzione è avvenuta a distanza molto ravvicinata. In questo contesto un singolo proiettile potrebbe aver provocato più di una lesione sul corpo della vittima. Stando comunque agli accertamenti emersi dall’autopsia, i primi colpi sarebbero stati quelli mortali. Dall’esame cadaverico, inoltre, è giunta anche la conferma alle prime ipotesi della scientifica, ovvero che almeno sette colpi siano stati esplosi dal killer quando la vittima era già a terra, forse già morta. Gli altri sei colpi sarebbero stati sparati da una distanza di circa 4 metri. Poi il killer si sarebbe ancora avvicinato finendo il caricatore sul corpo inerme di Francesco Sodini. Ora si attende il nulla osta del magistrato per la riconsegna della salma alla famiglia. I funerali si dovrebbero svolgere sabato (11 aprile) alle 15,30 nella chiesa dell’Arancio.