





di Roberto Salotti
Era ossessionato dalla paura di finire in carcere dopo una condanna in primo grado per stalking e un processo in vista con accuse pesanti: dalla violenza sessuale al sequestro di persona di una ragazza di 17 anni di Follonica, conosciuta in spiaggia mentre faceva il bagnino. Nicola Barsotti, 26 anni, di San Vito ha messo fine al suo tormento, in un modo atroce. Si è inflitto una serie di coltellate ed è morto ieri sera (31 agosto) sotto il baluardo San Colombano, mentre due agenti che tentavano di fermarlo hanno cercato disperatamente di salvargli la vita (Articolo e foto). Il giallo sulla tragica morte del giovane è stato sciolto in poche ore dalla polizia.
Gli investigatori della squadra volanti, diretti da Leonardo Leone, e quelli della Mobile del commissario Silvia Cascino hanno fatto luce sul dramma che ha armato contro se stesso un giovane, convinto di farla finita piuttosto che rischiare di finire in carcere, a causa di un passato pesante che lo aveva di recente isolato, al punto da farlo allontanare da famiglia e amici. Era da poco ritornato dal Messico, dove era fuggito, convinto di evitare i suoi guai giudiziari, sicuro che sarebbe stato colpito da un ordine di carcerazione per un cumulo di pene. Ma nessuna condanna definitiva che lo potesse portare dietro le sbarre era in vista.
E mentre gli inquirenti scoprivano la vera identità della vittima – inizialmente si era ipotizzato che si trattasse, a causa dei lineamenti e perché non aveva con sé i documenti, di un magrebino -, cominciavano anche a delinearsi i contorni del ferimento di un marocchino di 26 anni, Bela Oufia, all’Oratorio della Madonnina, dentro Porta San Pietro. I due fatti di sangue sono assolutamente scollegati l’uno dall’altro. Soltanto per un drammatico caso sono avvenuti praticamente allo stesso orario e a poche centinaia di metri di distanza. Per questo motivo, inizialmente, gli investigatori non avevano escluso una possibile relazione tra l’aggressione e il suicidio del 26enne. Invece, il marocchino è stato aggredito da un suo connazionale e coetaneo, che è stato identificato e denunciato dalla polizia, anche se è ancora ricercato. Ha colpito alla gola il 26enne con il coccio di una bottiglia di vodka e poi si è allontanato lasciandolo al suolo. La vittima fortunatamente non è in pericolo di vita: i medici hanno sciolto la prognosi e il referto parla di ferite giudicate guaribili in 30 giorni. Il taglio alla gola ha sfiorato a meno di un millimetro la giugulare e una lite banale per una sigaretta sarebbe potuta sfociare in ben altro dramma.
Le coltellate sugli spalti. Per Nicola Barsotti, invece, non c’è stato niente da fare. E’ morto tra le braccia dei due agenti che tentavano di fermare l’emorragia dopo che era caduto a terra, recidendosi l’arteria femorale, dopo essersi colpito con un fendente al cuore. I due poliziotti gli hanno sfilato la cintura e gliel’hanno legata al di sopra del vistoso taglio, ma le ferite che il giovane si era inferto erano troppo gravi per dargli scampo.
L’aggressione e il suicidio. Tutto è cominciato alle 21,20. Una donna che stava passeggiando in viale Carducci chiama il 113 perché vede due uomini litigare animosamente. I due arrivano dal sottopasso di San Concordio, urlano e si spintonano. Una pattuglia raggiunge in pochi minuti la zona, ma l’aggressione si è già compiuta. La vittima, infatti, ha avuto il tempo di tentare una breve fuga all’interno di Porta San Pietro ma all’Oratorio della Madonnina viene raggiunto dal suo aguzzino che lo ferisce al collo con la bottiglia. Soltanto perché si è rifiutato di offrire una sigaretta. A quel punto, alle 21,32, un altro passante chiama il 118, spiegando che c’è un uomo ferito a terra e che sanguina. La centrale operativa del 118 si mobilita e invia un ambulanza, ma appena tre minuti dopo arriva l’altra richiesta di intervento nei pressi del baluardo San Colombano. E’ la polizia che chiede aiuto: due agenti sono all’inseguimento di un giovane armato di coltello che si sta ferendo.
Una morte atroce. Qualche istante prima, Barsotti, si trova in via Montanara, all’angolo con viale Cavour, dove ha sede la questura. Ha una bottiglia di vetro, che infrange contro il ferro della balaustra che delimita il marciapiede. Un poliziotto al lavoro alla centrale operativa del 113 sente il fragore del vetro e guarda dalle telecamere di sorveglianza in strada. Vede il ragazzo con in mano un coltello e invia d’urgenza due agenti in pattuglia. Quando Barsotti vede arrivare la polizia, si dà alla fuga. Gli agenti scendono dall’auto in viale Margherita e gli gridano di fermarsi. Barsotti è già sul vialetto che conduce agli spalti e mentre attraversa il viale rischia di venire investito. I poliziotti cercano di raggiungerlo, perché vedono che il ragazzo continua a ferirsi con l’arma, mentre corre. Arrivato sotto al baluardo si infligge un colpo al cuore e poi alla gamba. Ma a quel punto è una maschera di sangue, cade a terra. Non ci sarà più niente da fare.
I due agenti, nel frattempo raggiunti da un’altra pattuglia e da altri giovani che hanno appena assistito alla scena, tentano disperatamente di tamponare le ferite, mettendosi loro stessi a rischio, con grande coraggio e spirito di abnegazione. Anche questo tentativo è stato del tutto vano.
Le indagini. Le indagini della polizia, coordinate dal sostituto procuratore Salvatore Giannino, partono caute, senza escludere niente. Le circostanze di quei due episodi di sangue, avvenuti così vicini nello spazio e nel tempo, sembrano i pezzi di un puzzle che soltanto a notte fonda troveranno la loro giusta collocazione. Troppi elementi e coincidenze, all’inizio, portano gli inquirenti a ipotizzare uno stretto legame tra i due episodi. Anzitutto il fatto che la vittima, a causa dell’incarnato e di alcuni tratti somatici, sembra un giovane di origini magrebine, proprio come l’altro che a pochi metri è stato ferito da un connazionale. Sembra allora possibile che quella stessa lite abbia provocato poi il gesto estremo. Invece, nessuna relazione c’era tra le due vittime. Mentre la polizia scientifica effettua sul posto i rilievi del caso, trovando due coltelli sardi, accanto al corpo senza vita di Barsotti, gli agenti delle volanti sono riusciti a ricostruirne l’identità. Questo grazie ad un mazzo di chiavi trovate in tasca alla vittima. Tra queste c’erano quelle di una Seat che gli agenti hanno trovato parcheggiata poco distante dalla questura. Grazie alla targa, si è risaliti all’identità e alla famiglia del ragazzo e il giallo si è a poco a poco dissipato. Nel frattempo, infatti, è stato ascoltato anche il 26enne marocchino vittima dell’aggressione a Porta San Pietro. Per come ha potuto, viste le gravi ferite, ha riferito agli inquirenti di essere stato aggredito da un connazionale, di cui poi gli investigatori sono riusciti a ricostruire l’identità, facendo scattare immediatamente la denuncia. Si tratta di un 26enne irregolare sul suolo italiano e che è ancora ricercato dagli agenti. Come l’altro si trovava da anni in Lucchesia, e gli era stato concesso anche un permesso di soggiorno, poi scaduto. Ormai è questione di ore perché venga rintracciato.
L’ex stalker ossessionato dal carcere. Dissipato ogni dubbio sul fatto che i due episodi nulla avessero a che fare l’uno con l’altro, gli inquirenti si sono concentrati a chiarire il contesto in cui Barsotti, che in passato ha svolto lavori saltuari come barista e bagnino, ha maturato il folle gesto. I suoi genitori, avvisati della tragica morte del figlio, hanno descritto un ragazzo distrutto dal suo recente passato. Il padre, in particolare, ha raccontato agli investigatori di temere che il figlio potesse farla finita. In un recente sfogo, glielo aveva detto chiaramente: “Piuttosto che finire in carcere mi ammazzo”. Per quella paura di dover fare molto presto i conti con la giustizia, si era allontanato da casa, per passare un periodo in America Latina. Alle spalle aveva una condanna in primo grado per stalking nei confronti della ex. In particolare, era stato accusato di averla chiusa in garage per non farle assistere al funerale della nonna. In vista c’era il processo dal gup per violenza sessuale e sequestro di persona nei confronti di una ragazzina di 17 anni, conosciuta a Follonica nel 2013, mentre faceva il bagnino in spiaggia. Accuse pesanti, ma il giovane si era sempre dichiarato innocente.
Dopo qualche tempo in Messico, si era convinto a fare ritorno a casa dai genitori, perché si sentiva ancora più solo e spiazzato per l’assenza dei cari e degli amici. Ma il ritorno a Lucca era stato forse più drammatico del previsto. Senza lavoro, senza più la sua ragazza che lo accusava invece di averla maltrattata e perseguitata, Barsotti si è chiuso in se stesso, mostrando a chi gli era più vicino i primi segni di squilibrio. In cura da professionisti, non riusciva, secondo il racconto reso dai genitori, a togliersi dalla testa, che sarebbe stato arrestato a breve. Forse, per questo, quasi a sfidare il suo destino, ieri sera ha guidato la sua auto fin sotto la questura. E’ sceso, ha rotto la bottiglia per attirare l’attenzione e si è mostrato armato alla telecamera. Quando sono giunti gli agenti, è fuggito e si è dato la morte che cercava, come la fine di ogni suo tormento.
FOTO – I coltelli con cui si è ucciso il giovane e i cocci di bottiglia rotti davanti alla questura
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