
Nessun risarcimento per il bimbo nato perché non gli è stata diagnosticata la sindrome di Down. Lo ha stabilito la Cassazione a Sezioni Unite, secondo cui non esiste il “diritto a non nascere se non sano” e questo “mette in scacco il concetto stesso di danno” per il nato malato. Le Sezioni unite sono intervenute su una richiesta di risarcimento danni, a nome proprio e della figlia, di una coppia della Valle del Serchio nei confronti della Asl di Lucca e i primari dei reparti di ginecologia e del laboratorio dei analisi. Nonostante un’indagine prenatale, i medici non avevano riscontrato che la bambina fosse affetta dalla sindrome di Down. Se correttamente informata la madre non avrebbe portato a termine la gravidanza e per questo ha chiesto il risarcimento.
Le Sezioni Unite lo hanno respinto per quanto riguarda la bambina, mentre hanno disposto un nuovo approfondimento per il danno psicologico subito invece dalla madre. Per la Cassazione, non c’è un diritto a non nascere, così come “non sarebbe configurabile un diritto al suicidio tutelabile contro chi cerchi di impedirlo”: nessuna responsabilità avrebbe il soccorritore “che produca lesioni cagionate ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte”.
L’ordinamento, aggiungono le Sezioni unite, “non riconosce il diritto alla non vita: cosa diversa dal cosiddetto diritto di staccare la spina, che comunque presupporrebbe una manifestazione di volontà ex ante, attraverso il testamento biologico”. L’accostamento tra le due situazioni “è fallace”.
I giudici intervengo così su un aspetto che essi stessi definiscono “delicato e controverso”, con implicazioni “filosofiche ed etico-religiose” e “indirizzi di pensiero” segnati “da accese intonazioni polemiche”. Su cui anche la giurisprudenza si è divisa.
La Cassazione a Sezioni unite sottolinea che l’indirizzo giurisprudenziale favorevole alla “pretesa risarcitoria del nato disabile verso il medico” finisce con l’assegnare al risarcimento “un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale”.
Nella sua disamina la Corte, che cita precedenti casi anche all’estero, mette in guardia dal “rischio di una reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psico-fisica”: una “deriva eugenetica” che ha caratterizzato il dibatto in altri Paesi, come in Francia, dove è poi intervenuta una legge specifica (legge Kouchner del 2002) per affermare proprio che nessuno può far valere un danno derivante dal solo fatto di esser nato. La Corte respinge poi la “patrimonializzazione dei sentimenti, in una visione panrisarcitoria dalle prospettive inquietanti”.
Le Sezioni unite hanno comunque annullato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che negava il risarcimento ai genitori. La legge 194 sull’aborto riconosce infatti il diritto di interrompere la gravidanza laddove la nascita determini ‘un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna’, ma per attribuire l’eventuale risarcimento del danno occorre provare che la donna avrebbe effettivamente “esercitato la scelta abortiva”. Anche, spiegano gli ermellini, approfondendo “lo stato psicologico”. Accertamento che i giudici di merito hanno sottovalutato.