
Serviranno una serie di accertamenti tecnici e medico legali per chiarire il giallo del cadavere senza testa e una mano trovato ieri mattina (25 febbraio) sulle rive del Serchio a San Pietro a Vico da un pensionato che stava passeggiando a pochi metri da casa, nell’area dietro al distributore Gasauto, in compagnia del suo pastore corso (Leggi). L’inchiesta della squadra mobile diretta da Silvia Cascino, coordinata dal sostituto procuratore Elena Leone, è resa complicata da una serie di circostanze che necessiteranno di tempi non brevissimi per essere risolte.
La priorità adesso è quella di dare un nome alla vittima: per il momento, infatti, si sa solo che si tratterebbe di un uomo, il cui corpo è rimasto in acqua per molto tempo, dai 4 ai 18 mesi stando alle prime informazioni giunte dal medico legale che ieri mattina è stato accompagnato dalla polizia scientifica della questura sulla sponda del fiume dove il cadavere senza testa e mutilato è stato trovato.
Ma c’è un altro fondamentale tassello da aggiungere all’inchiesta: è chiarire le cause della morte, per escludere il prima possibile che si possa trattare di un omicidio. Al momento gli inquirenti stessi la ritengono un’ipotesi remota ma serve la prova inconfutabile che potrà giungere dalle radiografie disposte dal magistrato e che saranno eseguite dal medico legale. La Tac, però, potrebbe non bastare a fornire risposte soddisfacenti e a questo punto sembra che soltanto l’esito dell’autopsia, con il conferimento al medico legale Stefano D’Errico, potrà aiutare a svelare il giallo in entrambe le direzioni: identità e cause del decesso.
Le tappe dell’inchiesta. Su questi due obiettivi si concentra il lavoro degli inquirenti della squadra mobile di Lucca che al momento hanno veramente pochi elementi in mano, in assenza di qualche riscontro ufficiale dall’anatomopatologo. Al momento però l’inchiesta della mobile ha preso un filone ben preciso. Senza scartare alcuna ipotesi (compresa quella del delitto), si sta scavando nella lista degli scomparsi a Lucca e in Garfagnana, ma anche nelle zone limitrofe. E l’attenzione si è in particolare concentrata su Enrico Bettini, l’operaio di Coreglia scomparsa nel novembre del 2014 da casa e mai ritrovato. Come noto ormai, fu cercato anche nelle acque del Serchio, dopo il ritrovamento della sua auto in un parcheggio al ponte del Diavolo, nel comune di Borgo a Mozzano. Le ricerche del nucleo subacqueo e dei sommozzatori dei vigili del fuoco non avevano dato esito e furono sospese dopo alcuni giorni anche a causa della piena del Serchio. Ieri i familiari dell’artigiano sono stati contattati dagli inquirenti per essere sottoposti alla prova del Dna. Una procedura che è stata attivata anche per i familiari di altre persone scomparse negli ultimi due anni in zona ma ci sono alcuni aspetti del “giallo” di Coreglia che vengono investigati con particolare attenzione per trovare eventuali legali con il ritrovamento di ieri a San Pietro a Vico. Gli inquirenti vanno molto cauti, perché non ci sono elementi che possano allo stato permettere alcun tipo di associazione, ma in attesa dell’autopsia è stato contattato anche il medico di famiglia dell’artigiano scomparso. L’obiettivo è quello di capire se possa aver avuto delle patologie o si sia sottoposto a degli interventi chirurgici importanti, tali da poter essere individuati da un’autopsia nel caso malaugurato che quel cadavere senza testa trovato a San Pietro a Vico possa appartenere all’operaio di cui non si ha più notizia da un anno e quattro mesi.
Delitto o suicidio? I dubbi restano comunque molti. A cominciare dall’altro nodo dell’indagine: si tratta di un omicidio o di un uomo che volontariamente si è gettato nel fiume per farla finita? Le mutilazioni sul cadavere sono state provocate dunque dalla decomposizione e dal lungo tempo passato a contatto con l’acqua e le intemperie? Per ora è quest’ultima la pista privilegiata, ma si resta sempre nel campo delle ipotesi che necessitano, assolutamente, di conferme.
Anche in questo caso dovrà (e potrà) dare risposte soltanto l’autopsia. Eppure, qualche considerazione gli inquirenti la stanno già facendo. Se su quei poveri resti si fosse accanito un killer spietato che avesse voluto cancellare non solo la vita ma perfino l’identità della sua vittima, perché non finire il lavoro? Perché, si chiedono gli inquirenti, al cadavere non sono state amputate entrambe le mani? E soprattutto, perché poi gettarlo nel fiume? Domande, queste, che gli agenti debbono comunque porsi, ma destinate a rimanere senza risposta fino all’accertamento del medico legale. Il test del Dna potrà poi aggiungere conferme sull’identità delle vittima, ma serviranno probabilmente alcune settimane per avere riscontri certi.
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