Truffavano le aziende con assegni scoperti, 9 arresti

16 marzo 2016 | 08:52
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di Roberto Salotti
Selezionavano le aziende da spolpare tra quelle più solide e affidabili sul mercato e poi ordinavano la merce più disparata attraverso società “schermo” costituite all’occorrenza per trattare acquisti senza la minima copertura. Emettevano, infatti, assegni postdatati – a 30 e fino ad un massimo di 90 giorni – e poi sparivano nel nulla, nella maggior parte dei casi, quando i titoli andavano all’incasso in conti aperti da prestanome dove non c’era nemmeno un euro. Un maxi raggiro che ha coinvolto imprese di tutta Italia, dalla Lombardia alla Campania, che spesso venivano contattate anche per acquisti online di prodotti poi rivenduti dai truffatori nei canali ufficiali o nel mercato nero dei ricettatori a prezzi scontati, talvolta fino al 50%.

Il denaro truffato in questo modo serviva poi ad alimentare i nuovi affari della banda, che riapriva aziende con gli stessi volti ma sede e ragioni sociali diverse per continuare i raggiri, in qualche caso perfino agli stessi imprenditori, lusingati con improbabili offerte di riacquisto della merce a prezzi più che concorrenziali.
L’indagine – coordinata dai sostituti procuratori Salvatore Giannino e Aldo Ingangi e condotta dagli agenti della sezione antirapina della squadra mobile del commissario Silvia Cascino, in collaborazione con la sezione di polizia giudiziaria, l’aliquota e il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza – ha messo le manette ai polsi a 9 persone. Cinque, tra cui la mente del gruppo, sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Silvia Mugnaini, altri 4 sono ai domiciliari. L’accusa è associazione a delinquere finalizzata alla truffa, alla bancarotta fraudolenta, oltre che alla ricettazione e al riciclaggio.
Gli investigatori della squadra mobile hanno ricostruito un sistema gelatinoso attraverso cui la mente della banda – un truffatore di professione già noto alle cronache – aveva messo su una rete di complici, con ruoli ben definiti. E le indagini iniziate dall’ex capo della mobile Virgilio Russo, già nel 2013 hanno scoperto una maxi truffa nell’ordine di diverse centinaia di migliaia di euro ad almeno 100 ignare aziende finite nel mirino. Ma la stima, ritengono gli investigatori condotti dal commissario Cascino che ha portato vicino alla conclusione l’indagine, è destinata ancora a salire.
VIDEO – Il blitz della polizia

Le perquisizioni. Soltanto stamani quando è scattato il blitz per eseguire le misure disposte dal giudice delle indagini preliminari, la polizia ha sequestrato 250mila euro tra contanti e assegni trovati nella cassaforte a casa del “tesoriere” del gruppo. Secondo l’accusa, era incaricato di piazzare il denaro ottenuto rivendendo la merce acquisita con gli assegni postdatati o falsi su conti correnti intestati a prestanome e utilizzati poi per compiere altre truffe.
Gli assegni scoperti. Il sistema era semplice quanto ben architettato. Ed è cominciato nel settore navale. La banda, infatti, aveva costituito una società di comodo che si spacciava come ditta operante nel settore della nautica, la Resin Art con sede a Capannori e a Pisa. Una società all’apparenza pulita che ha fatto degli acquisti pagando regolarmente la merce e guadagnandosi una buona immagine nei confronti dei fornitori. Il vero e proprio raggiro avveniva in un secondo momento, una volta conquistata la fiducia delle aziende, loro malgrado, finite nel mirino. Così gli ordini cominciavano a crescere e il sistema di pagamento cambiava: ai fornitori venivano rilasciati assegni postdatati o che poi sono risultati oggetto di denuncia di scomparsa o furto. In altri casi erano letteralmente false le firme con cui erano stati girati ai destinatari. Che quando andavano all’incasso avevano sempre la stessa scoperta.
La truffa nella truffa. Un copione che si ripeteva in seguito: quando ormai le truffe erano fatte, la società che aveva emesso gli assegni spariva, oppure si dichiarava fallita ai fornitori che reclamavano il denaro presentandosi alla sede legale. Qui – secondo quanto è stato ricostruito dalla polizia – trovavano sempre la stessa persona, una segretaria che in qualche caso ha tentato di truffare nuovamente gli imprenditori, facendo credere loro che la ditta era fallita ma che avrebbero potuto riavere indietro la merce venduta a prezzi concorrenziali. E’ successo anche per le altre ditte costituite in seguito tra cui Arte&Giardino sas, poi dichiarata fallita per cedere il posto alla DaTor con sede ad Uzzano.
Sotto mentite spoglie. In altri casi, non si faceva trovare più nessuno e perfino i conti correnti a cui si risaliva dagli assegni erano intestati a prestanomi o a persone con nomi letteralmente inventati. E gli alias erano una grande risorsa per questa banda di truffatori, pronti a cambiare continuamente nome e vesti. Così come le nuove società costituite e poi chiuse dalla sera alla mattina che acquistavano la merce più disparata, dagli infissi, al carburante, agli attrezzi per il giardinaggio o il bricolage.
Gli arrestati e l’organizzazione. Secondo la procura, a capo della banda c’era Andrea Buondestino, 74 anni, originario di Salerno, ma residente nel pistoiese. Per l’accusa era il promotore e il finanziatore delle truffe ma agiva dietro le quinte, perché interdetto da una precedente condanna e già accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il ruolo del procacciatore d’affari e amministratore di fatto delle società era svolto, secondo l’accusa, da Daniele Torracchi, che si spacciava per Luca Morini, nato e residente nel pistoiese, di 50 anni. Il lucchese Giovanni Moreno Mazzei, 59 anni, è stato secondo gli inquirenti l’amministratore di diritto dei contratti bancari e degli assegni da utilizzare in pagamento ai fornitori, dopo la denuncia preventiva di smarrimento dei carnet. C’era poi Ombretta Guidi, nata a Monza, 48 anni, residente nel pistoiese: lei svolgeva il ruolo di segretaria delle varie aziende schermo e si faceva chiamare Alessandra Iacomelli.
Nei guai è finito anche Giovanni Venturi, lucchese di 52 anni, che sempre stando alle accuse, insieme a Torracchi era incaricato di curare i contatti commerciali, le trattative e gli ordini d’acquisto. Il supporto logistico era fornito, sempre per l’inchiesta, da Carlo Barbieri, pisano di 71 anni, e da Osvaldo Fermo Mapelli, conosciuto con l’alias di geometra Capelli, di 68 anni, di Premolo, residente a Brescia ma con domicilio di fatto a Roma: per gli inquirenti erano i magazzinieri e erano incaricati di piazzare la merce truffata alle ditte.
A completare il quadro Giuseppe Alfonso Scarpa, livornese di 57 anni, residente in provincia di Brescia e Sergio Cerasa, lucchese 79 anni: il primo tramite la Pelikan di Gottolengo e il secondo attraverso la Cerasa Group di Capannori, riciclavano, per l’accusa, il denaro sporco con le intestazioni fittizie a conti correnti bancari.
Scatole cinesi con le società. Le indagini hanno infine ricostruito le scatole cinesi delle società di facciata che servivano alle truffe. Si è cominciati dalla Resin Art, poi si è passati alla Arte&Giardino sana, poi dichiarata fallita per cedere il posto a Iniziative Globali srl e Daga srl, tutte con sede a Lucca e, infine, a DaTor con sede ad Uzzano, in provincia di Pistoia.
Blitz nel magazzino della gang. Parte della merce provento della maxi truffa è stata recuperata nel corso delle perquisizioni eseguite dalla squadra mobile di Lucca, anche nelle province di Pistoia, Pisa, Cagliari, Brescia e Prato. Ma è stato a Lucca che gli investigatori hanno trovato il magazzino dei truffatori, dove c’era di tutto: dai piatti fino alle gru. Dello stoccaggio della merce si occupava il “magazziniere” del gruppo, che aveva il compito di piazzare nuovamente la mercanzia sul mercato nero ma anche ufficiale, attraverso le aziende che venivano create ad hoc.
Ricettazione e riciclaggio. L’inchiesta, del resto, è proprio partita dalle denunce giunte in procura da parte degli imprenditori truffati, tutti con la stessa tecnica raffinata. Ma secondo gli inquirenti la rete non si fermava all’acquisto truffaldino della merce, ma rivendeva i proventi del reato per acquisire denaro da riciclare in altre truffe. Un circolo vizioso, si potrebbe dire, interrotto stamani dall’operazione della polizia.
I soldi nascosti. A confermare questa ipotesi investigativa è arrivato un ingente sequestro di denaro operato dalla Mobile in casa del truffatore “tesoriere”. Nella cassaforte gli agenti del commissario Cascino hanno trovato circa 250mila euro in banconote da 50 e 500 euro, più alcuni assegni. Materiale che è stato sequestrato, ma a cui potrebbero aggiungersi presto altri elementi. L’indagine, infatti, è tutt’altro che conclusa e si può dire che la squadra mobile abbia scoperchiato un vaso di Pandora.
Centinaia di raggiri. Sono state finora, infatti, accertate almeno un centinaio di aziende truffate, in varie zone dello Stivale, ma la sensazione degli inquirenti è che si sia soltanto agli inizi. Per questo proseguono in collaborazione con la guardia di finanza anche gli accertamenti sui conti correnti e sulle società schermo messo in piedi dai truffatori. Potrebbero scoprirsi così altre vittime dei raggiri.
Guadagni record. Il giro di loschi affari finora ricostruito era particolarmente redditizio se si considera che la merce, con il sistema di pagamento dell’assegno inesigibile, veniva acquistata a costo zero e poi rivenduta anche a metà del suo prezzo reale. A conti fatti, tutto di guadagnato: parquet acquistato a 58 euro al metro quadro, rivenduto a 28 euro. Uno schema, sostengono gli agenti, che si applicava a gran parte della tipologia della merce truffata, come anche a 60 botti in rovere, “acquistati” da una ditta di Conegliano al prezzo di 600 euro e rivendute a circa la metà. Il sistema però è stato smascherato e interrotto dagli inquirenti.