di Roberto Salotti
Avevano agito a volto scoperto, senza temere di poter essere riconosciuti dalla vittima, l’anziano titolare del centro commerciale Caspita di Lammari. L’avevano assalito mentre si trovava sulla porta della sua villetta di via dei Bugni a Segromigno in Monte, mentre usciva per esporre l’immondizia (Leggi). In quattro, nel tardo pomeriggio del 13 dicembre scorso, lo avevano spinto in casa – uno era armato di pistola, rivelatasi solo in seguito una scacciacani – e poi lo avevano legato al letto con dei lacci e pestato a sangue dopo averlo imbavagliato perché non gridasse.
Una rapina da “Arancia meccanica” compiuta da una gang di cinesi che è stata inchiodata in quell’abitazione mentre l’imprenditore veniva derubato di tutto: l’incasso del negozio, monili in oro e notebook per un valore di circa 20mila euro. Il Dna trovato in quella casa, insieme a parte della refurtiva trafugata ha convinto definitivamente gli inquirenti che quattro componenti di una banda di almeno sei rapinatori cinesi, arrestati lo scorso 23 dicembre a Bologna e Prato dai carabinieri di Genova coordinati dall’Arma di Santa Margherita Ligure fossero i quattro che con inaudita violenza avevano picchiato e derubato il titolare del centro commerciale. Erano finiti in cella perché accusati di un’altra rapina simile a Rapallo, la sera del 14 agosto di un anno fa: avevano fatto irruzione in casa di un imprenditore cinese, legando la moglie, il padre e i figli e portando via tutto quello che avevano trovato di un certo valore. Convinti, come nel caso di Segromigno, che nessuno avrebbe denunciato il fatto. Invece, così non è stato: il titolare del Caspita poco dopo la rapina era riuscito a liberarsi e a dare l’allarme ai carabinieri, a cui aveva riferito di essere stato aggredito da connazionali. C’è voluto poco perché i sospetti cadessero sulla gang sospettata di aver compiuto circa 50 rapine simili tra la Liguria, l’Emilia Romagna e la Toscana. I militari di Santa Margherita Ligure, infatti, stavano loro già alle calcagna e li avevano pedinati più di una volta in Lucchesia, nella stessa zona dove poi avrebbero rapinato l’imprenditore. Facevano i sopralluoghi, studiavano le abitudini della vittima per andare a colpo sicuro. Ma sono stati incastrati.
Gli elementi raccolti dai militari liguri diretti dal maggiore Antonio De Rosa, in collaborazione con quelli della Compagnia di Lucca e della stazione di Lammari, coordinati dal maggiore Giangabriele Affinito, sono risultati schiaccianti e il pm titolare dell’inchiesta, Elena Leone, ha chiesto e ottenuto dal gip le misure di custodia cautelare in carcere eseguite nelle ultime ore: tre a Prato e una Bologna dove i quattro si trovano in carcere con altre tre ordinanze sulle spalle. Si tratta di Zou Zhipeng, 48 anni, Sha Jianhui, 24 anni, Chez Zhi Peng, 26 anni e Wang Zecheng, di 45.
I carabinieri dopo mesi d’indagini certosine che hanno coinvolto anche il Ris e il Racis sono riusciti ad attribuire loro la rapina di Segromigno. Ai quattro, durante il blitz che li ha portati in carcere già nel dicembre scorso, era stata trovata parte della refurtiva trafugata durante la rapina e è stata trovata anche corrispondenza tra il Dna trovato nella casa e uno dei componenti arrestati.
I quattro fanno parte di una banda di sei persone, tutte cinesi, che hanno compiuto, secondo l’accusa, almeno 50 rapine dal 2013, anno in cui per la prima volta hanno messo piede in Italia, come cittadini cinesi “modello” e con regolare condotto per lasciare la Cina, dove rientravano regolarmente dopo i colpi. Tra di loro c’è anche una donna, che lavorava come colf in alcune delle abitazioni prese di mira. Le vittime venivano scelte sempre con gli stessi criteri: dovevano essere anzitutto cinesi e piene di soldi. Per questi selezionavano soltanto commercianti, ristoratori o imprenditori, monitorandone spostamenti e conoscenze per arrivare alle loro abitazioni e colpire nel momento più propizio. Sicuri di trovare soldi contanti e soprattutto omertà nelle vittime. Per questo, intercettati al telefono dai carabinieri, si sentivano imprendibili. E organizzavano i colpi con spavalderia, anche su gruppi creati ad hoc su Whatsapp.
Ma l’inchiesta che intanto li ha portati in manette con arresti “spettacolari” avvenuti in pieno centro a Prato e a Bologna, è tutt’altro che conclusa. I carabinieri infatti stanno indagando sul ruolo giocato dalla gang in un’altra rapina messa a segno a casa di ristoratori cinesi a San Donato tra il 2013 e il 2014, mentre i rapinatori catturati sono sospettati di altri due episodi in provincia di Pisa e altri tre a Prato.