L’operaio al pm. “L’ho vista bruciare e sono andato via”

3 agosto 2016 | 11:31
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L’operaio al pm. “L’ho vista bruciare e sono andato via”

di Roberto Salotti
“L’ho vista bruciare, ma me ne sono andato. Dovevo andare a casa”. E’ con apparente lucidità che Pasquale Russo risponde alle domande del pm. Interrogato dal sostituto procuratore Piero Capizzoto l’operaio della Manutencoop arrestato ieri (3 agosto) con l’accusa di aver dato fuoco alla ex, Vania Vannucchi, morta per le gravi ustioni stamani all’ospedale Cisanello ha ammesso di aver gettato addosso all’operatrice sanitaria 46enne del liquido infiammale da una tanica che aveva con sé e che poi avrebbe gettato prima di allontanarsi con il motorino e andarsene a casa, a Segromigno in Monte. Senza soccorrere quella povera donna, avvolta dalle fiamme come una torcia umana. “Non volevo uccidere”, ha spiegato poi al pm e al capo della squadra mobile Silvia Cascino, facendo le prime ammissioni ieri sera in questura. “Forse lei aveva una sigaretta, io volevo solo imbrattarla e sporcarla, non le ho dato fuoco”, ha detto Russo assistito dall’avvocato Gianfelice Cesaretti, che chiederà una perizia psichiatrica sul suo assistito che era in cura da qualche tempo per problemi psichiatrici.

Un interrogatorio andato avanti dalle 20 per oltre due ore in cui Russo ha risposto alle domande, fornendo però una versione dei fatti e in particolare un movente che non convincono gli inquirenti. Ha negato di aver voluto costringere la donna a tornare con lui, ma ha detto di aver perso la testa perché lei lo accusava del furto del suo telefonino. Ed è proprio sul cellulare che si stanno concentrando le indagini volte a confermare le prime affermazioni dell’operaio, accusato di omicidio volontario e rinchiuso in una cella del carcere San Giorgio di Lucca in attesa che il gip Giuseppe Pezzuti lo interroghi venerdì mattina (5 agosto). Vania ne aveva denunciato il furto soltanto il giorno prima di venire arsa viva dal suo ex collega e amante. Però quel cellulare è stato ritrovato dagli uomini della polizia scientifica all’interno della Fiat 500 della donna, parcheggiata nel piazzale dove si era incontrata con Russo e dove poi si è consumata la tragedia. Uno scenario che fa ipotizzare che questo sia stato il pretesto per un incontro.
L’ARTICOLO – L’ultima lite per un cellulare, poi il rogo mortale
Il cellulare e il movente. A parlare del cellulare è stato lo stesso Russo. Vania, secondo la sua versione, lo avrebbe affrontato accusandolo del furto. Lui si sarebbe difeso, discolpandosi ma di fronte alle accuse della donna la sua mente già provata (era in cura psichiatrica) lo ha spinto ad una reazione smisurata. Ma anche se l’operaio ha ammesso di aver gettato la benzina addosso alla ex, ha negato di aver appiccato il fuoco. Però ha ammesso che la bruciatura che aveva al braccio e per la quale ieri dopo essere stato prelevato da casa è stato fatto medicare al pronto soccorso se l’era procurata sul luogo della tragedia.
Una versione piena di incongruenze che gli inquirenti stanno cercando di smontare. Non convince né il movente fornito, né altre circostanze riferite durante l’interrogatorio. A cominciare, ad esempio, dalla tanica piena di miscela infiammabile: Russo ha detto d’averla usata per rovesciarla sulla donna e di averla poi gettata nelle vicinanze. Ma non è ancora stata trovata. In più ci sono i racconti delle amiche e delle colleghe, che hanno spiegato alla polizia che Vania si sentiva in pericolo. Era già stata minacciata più volte e si era confidata con le persone a lei più vicine, convinta a fare il passo e a denunciare. Purtroppo non lo ha fatto. Le testimonianze rese – e ancora tutte da confermare – descrivono Russo come un vero e proprio stalker. Capace, secondo loro, di entrarle anche in casa di nascosto o di piombarle a lavoro per minacciarla e fare scenate. Anche per questo, ritengono gli inquirenti, non è inverosimile che la donna, accortasi che le mancava il cellulare, possa aver ritenuto responsabile l’uomo che la perseguitava e che infine l’avrebbe uccisa. Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi, anche se il quadro generale appare chiaro agli inquirenti.
Un altro femminicidio, un’altra donna uccisa barbaramente. Lasciata morire, quando forse poteva essere salvata. Vania gridava, si gettava a terra. Ma Russo si è allontanato. E’ salito sullo scooter: “Dovevo andare a casa”, ha detto al magistrato che lo interrogava. Vania, invece, era irrimediabilmente condannata a morte. Dopo ore d’agonia, assistita al centro grandi ustionati dell’ospedale Cisanello di Pisa dall’ex marito, che fa il carabiniere a Firenze, dal padre Alvaro, massaggiatore della Lucchese, e dalle colleghe e amiche del reparto di Medicina V dove da febbraio lavorava, il cuore di Vania ha smesso di battere stamani attorno alle 6 (Leggi). Facendo piombare la famiglia in un lutto indescrivibile e lasciando sotto choc un’intera città, dove era molto conosciuta.
Le molestie. Gli inquirenti non credono al movente ricostruito sulla base delle dichiarazioni di Russo. Credono piuttosto che siano passionali i motivi che hanno prodotto la tragedia. Ed è per questo che ora si scava nel passato di Vania e di Pasquale, anche per trovare conferme ad alcuni episodi riferiti da amici e colleghi (Leggi). Secondo quanto trapela, le molestie sarebbero iniziate nel maggio scorso, a pochi mesi dal nuovo lavoro di Vania come operatrice socio sanitaria a Cisanello. Russo l’aveva conosciuto quando faceva la barelliera per la Coop Service ai magazzini dell’ex ospedale Campo di Marte. Era nata una frequentazione, che era tuttavia andata diradandosi con il suo trasferimento a Pisa. Ma l’uomo, secondo l’accusa, non accettava questa separazione e l’aveva vissuta come una privazione imposta, come un rifiuto inaccettabile. Ed erano cominciati prima i litigi, poi le minacce e anche le botte, sostiene la polizia. Un quadro che lentamente si sta mettendo insieme e che ora mira anche a stabilire se ci sia stata o meno premeditazione nella furia omicida dell’operaio.
Per questo tanti pezzi devono ancora trovare la loro collocazione. Russo, tra l’altro, non ha ammesso di aver dato fuoco alla donna. Soltanto di averle rovesciato addosso il liquido – repertato dalla scientifica anche sull’auto della donna – e di essere rimasto lui stesso ustionato ad un braccio. Messo alle strette si è limitato per ora a dire: “Ero lì, ma non volevo uccidere”.
L’interrogatorio. Ora è chiuso in una cella del San Giorgio. Il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Pezzuti attende la trasmissione degli atti dal pm per esaminarli e interrogare Russo, già venerdì mattina. A quel punto il gip potrà decidere se convalidare l’arresto e confermare o meno la detenzione in carcere. Intanto domani sarà affidato al medico legale Stefano Pierotti l’incarico di effettuare l’autopsia sul cadavere di Vania. La natura e le cause della morte sono sufficientemente chiari, ma l’esame necroscopico (che non sarà eseguito probabilmente prima di venerdì), in casi come questo, è doveroso e potrebbe fornire anche altri elementi sulle modalità del delitto. Che resta uno dei più efferati di cui si abbia recente memoria in Lucchesia.
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