
Archiviato il giorno dei funerali, in cui il dolore, la rabbia e la commozione hanno caratterizzato il ricordo di Vania Vannucchi, la 46enne operatrice sanitaria morta a seguito delle ustioni provocate dalle fiamme che l’hanno avvolta dopo che l’operaio Pasquale Russo l’aveva cosparsa di benzina, l’attenzione torna alle vicende procedurali e alle indagini che dovranno portare a capire l’entità delle responsabilità intorno al delitto.
Pasquale Russo è in carcere, dopo la convalida dell’arresto da parte del Gip, Giuseppe Pezzuti. E le motivazioni del provvedimento che ha confermato anche la misura cautelare al San Giorgio sembrano, allo stato degli atti, aggravare la posizione dell’operaio di Segromigno in Monte. Il Pm, Piero Capizzoto, infatti, ha chiesto, a seguito delle indagini portate avanti dalla squadra mobile della polizia di Lucca coordinata dalla dottoressa Silvia Cascino, di valutare le aggravanti della premeditazione, della crudeltà e dei futili motivi. Una ricostruzione ben diversa da quella che porta avanti la difesa con gli avvocati Gianfelice Cesaretti e Paolo Mei, che, oltre a contestare l’evento materiale (Russo avrebbe solo cosparso di benzina la donna, ma non avrebbe innescato l’incendio) pone l’attenzione sull’incapacità mentale dell’uomo almeno al momento dei fatti. E per questo la prossima settimana nominerà un perito, uno psichiatra, che visiterà al San Giorgio l’operaio accusato di omicidio volontario.
Ma la ricostruzione degli eventi immediatamente precedenti all’aggressione, intanto, sta prendendo corpo, anche se si attende ancora l’analisi dei dati raccolti dai cellulari di Vania e Pasquale per capire quali contatti sono intercorsi fra loro e verso l’esterno fra lunedì e martedì. Quel che è certo è che le liti fra i due, dopo che la donna aveva deciso di troncare la relazione, andavano avanti da tempo. L’uomo si era fattto sempre più insistente nel chiedere di tornare insieme e nelle manifestazioni di gelosia, ingiustificata, nei confronti della donna. E l’apice si sarebbe raggiunto proprio a ridosso del delitto. Tutto ruota intorno al furto del cellulare della donna, denunciato dalla stessa ai carabinieri proprio la mattina dell’aggressione e poi ritrovato all’interno della Fiat 500 di Vania. Sarebbe stata quella la “trappola”, secondo gli inquirenti, tesa da Pasquale Russo per convincerla all’ennesimo incontro, nel piazzale davanti ai magazzini dell’ex ospedale di Campo di Marte, che sarebbe poi stata fatale alla donna. Una prima lite, la mattina stessa dell’omicidio, sarebbe stata incentrata proprio sulle accuse della donna del furto del cellulare, all’alba, dalla sua abitazione. Pasquale Russo, secondo quanto registrato dalle telecamere di videosorveglianza del distributore di benzina Q8 di viale Castracani, all’altezza della rotonda su cui insiste il supermercato Esselunga, a quel punto avrebbe riempito di benzina una tanica che ha poi portato con sé al nuovo appuntamento, in cui si sarebbe dichiarato disposto a restituirle il cellulare. Lì, nello stesso luogo del litigio mattutino, l’evento che ha poi portato alla morte di Vania. La donna si riprende il cellulare, si dirige alla macchina per andare via. Lì sarebbe stata raggiunta dalla benzina, quando era già seduta in macchina o mentre stava ripondendo il cellulare nell’auto prima di mettersi alla guida. Poi le fiamme e la fuga dell’uomo, dopo aver riposto la tanica, ancora non ritrovata, nel bauletto del motorino. Mentre la donna bruciava viva e, dopo i soccorsi, riusciva a fare con le ultime forze il suo nome.
Spetterà ora ai giudici chiarire gli ultimi dubbi: lucida premeditazione o follia? Intanto quel che resta è un cadavere, tumulato da ieri al cimitero urbano di Sant’Anna. E una lapide che resta lì, a futura memoria, per chiedere giustizia.