
Un mattone tra capo e collo per Maria Giulia Iacopi, commessa di un negozio di abbigliamento del centro storico fino a stamani (18 ottobre) alle 13, quando le è arrivata la lettera di licenziamento in tronco. Dopo sette anni e mezzo l’epilogo più imprevisto in quelle poche righe trasmesse dal gestore dell’attività: consegna delle chiavi del negozio e senza più un lavoro.
“Non riesco ancora a realizzare – dice Maria Giulia, che è separata con una figlia minorenne -, non è possibile. Stavo realizzando una vendita, ho anche ritardato cinque minuti per far cassa. E mi sono trovata la lettera di licenziamento tra le mani. Non mi posso capacitare”. “L’azienda risponderà che c’era una trattativa in atto da mesi – dice Giovanni Bernicchi referente Fisascat Cisl -, e questo è vero. Ma proprio per questo ci aspettavamo che potesse almeno esserci una sorta di ultimatum, di prendere o lasciare. Così non è stato ma non ci fermiamo qua, agiremo per vie legali”. La trattativa si era aperta quando – spiega il sindacato -, dopo l’assunzione full time di una terza persona – fino ad allora le commesse erano state due -, circa un anno e mezzo fa, l’azienda aveva deciso di ridimensionare gli orari di lavoro, da 40 ore a 30 settimanali. “Una trattativa estenuante, che alla fine ha convinto una delle tre dipendenti a licenziarsi, una settimana fa – dice Bernicchi -. A quel punto erano rimaste in forza all’attività solo due dipendenti, quindi a maggior ragione l’orario poteva tornare a 40 ore per entrambe, visto oltretutto che il negozio svolge orario continuato e resta aperto anche la domenica. Si stava lavorando su un accordo di 30 ore da impiegare nel punto vendita di Lucca, più altre 10 tra Pisa e Viareggio”. “Tutto quel che abbiamo chiesto è di darci un programma di orario decente – aggiunge Maria Giulia, che negli ultimi sette anni e mezzo ha fatto la spola tra la città e il paese della Garfagnana dove vive – ma avevo anche proposto di pagarmi da sola le 650 ore di permesso che ho maturato sino ad oggi. In più ho la 104, per via della mamma a carico, disabile. Più che lasciare all’azienda anche le 24 ore mensili dell’Inps non so che fare. Sono più di 20 anni che lavoro al pubblico, mai mi è capitata una cosa simile. Scriverò alla casa madre, e con Bernicchi intraprenderemo un’azione legale”.
(La foto è d’archivio)