


Tredici anni e quattro mesi. E’ la condanna pronunciata dal giudice per le udienze preliminari del tribunale di Lucca per Massimo Donatini, l’operaio della Lucart di 44 anni, che la mattina del 7 aprile dell’anno scorso, tese un agguato al suo caporeparto, nascondendosi dietro ad una siepe in piazza Salvo d’Acquisto, nel cuore del quartiere di San Filippo a Lucca e scaricò 13 colpi di pistola contro il 53enne padre di famiglia, Francesco Sodini, lasciandolo morire in una pozza di sangue in mezzo al parcheggio (Leggi).
Donatini (nella foto) si costituì a qualche ora dall’omicidio alla caserma dei carabinieri in Cortile degli Svizzeri, dove si presentò consegnando l’arma sottratta il giorno prima da casa del padre: “Ho fatto una cazzata, ho ammazzato il mio capo”, disse. Spiegando poi agli inquirenti un quadro inquietante, in cui Donatini si sentiva vittima di una macchinazione del caporeparto per licenziarlo. Sebbene quella convinzione non avesse, secondo le indagini, alcun fondamento, era maturata nitidamente nella mente dell’operaio, alimentata da uno scherzo che gli avevano fatto gli amici, convincendolo che sarebbe stato licenziato subito dopo Pasquetta.
Ma quando la mattina del 7 la sua disperazione armò le sue mani, sotto casa di Sodini, Donatini non sarebbe stato capace di discernere cosa stesse facendo. Per lui, infatti, è stata riconosciuta la semi infermità mentale, avallata anche dalla perizia del consulente dell’accusa.
Per questo è arrivato lo sconto di pena, a cui si devono aggiungere i benefici del rito alternativo proposto dagli avvocati difensori, Fabrizio Ungaretti e Ornella Da Tofori, che al termine dell’udienza di stamani (30 novembre) di fronte al gup Giuseppe Pezzuti, si sono detti “molto soddisfatti della sentenza”. Che collima, tra l’altro, anche con la richiesta del sostituto procuratore Antonio Mariotti, titolare dell’inchiesta per omicidio volontario e porto abusivo di armi.
Si chiude così una vicenda giudiziaria che era partita con una guerra di perizie e consulenze per determinare se l’imputato fosse o meno capace d’intendere e di volere al momento del delitto e soprattutto se l’omicidio fosse stato premeditato.
La morte del caporeparto della Lucart, in quelle drammatiche circostanze, aveva lasciato sotto choc l’intera città.
Secondo quanto venne ricostruito all’epoca, erano da poco passate le 7 del mattino quando Sodini uscì dall’appartamento al secondo piano di una delle palazzine che si affaccia su piazza Salvo D’Acquisto. Imboccato il vialetto per raggiungere il parcheggio dove si trovava la sua auto, per andare a lavoro, Sodini si trovò alle spalle Donatini, comparso all’improvviso da dietro una siepe. Gli mostrò la pistola, minacciandolo e seguendolo mentre si allontanava verso il centro della piazza. Gli ultimi attimi di vita del caporeparto, subito dopo raggiunto da una scarica di 13 colpi di pistola.