Mafia, Lucca prima in Toscana per aziende confiscate

11 dicembre 2017 | 13:07
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Mafia, Lucca prima in Toscana per aziende confiscate

“La Toscana non è terra di mafia, ma la mafia c’è”. Lo diceva lo scomparso giudice Caponnetto ed una ricerca realizzata dalla Normale di Pisa curata dalla professoressa Donatella Della Porta, con la collaborazione di Andrea Pirro, Salvatore Sberna e Alberto Vannucci, e presentata questa mattina (11 dicembre) lo conferma. Già dopo i primi mesi di studio si rafforza infatti la consapevolezza che non esistono regioni sul territorio nazionale immuni dalle mafie e dai fenomeni corruttivi. Lucca non fa eccesione: nello specifico, Lucca pur essendo solo al 72esimo posto a livello nazionale (settimo in Toscana) per presenza di organizzazioni mafiose, in alcuni campi specifici, risulta ai primi posti di queste non esalatanti classifiche. Lucca è infatti al primo posto in Toscana per unità immobiliari e industriali poste sotto confisca mentre si attesta al secondo posto, superata solo da Prato, per quanto riguarda la presenza di aziende sequestrate alle associazioni mafiose. Terzo posto invece, dopo Arezzo e Livorno, per quanto riguarda la presenza di beni immobili sequestrati alle organizzazioni malavitose.

La ricerca
Dalla ricerca emerge che le province di Prato, Lucca, Arezzo e Livorno, sono quelle dove “vi è stata storicamente una maggiore presenza di attori criminali riconducibili alle cinque mafie storiche meridionali, anche se le province di Firenze e Prato più di recente hanno avuto un incremento significativo di misure patrimoniali”.
Il nostro territorio non è risparmiato nemmeno per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione e del gioco d’azzardo: infatti Lucca, insieme alle province di Prato, Firenze e Pistoia, sarebbe, secondo la ricerca, campo d’azione di un gruppo di origine campana, il cosiddetto gruppo Terracciano di Pollena Trocchia, attivo nel settore della prostituzione e delle scommesse clandestine che portano anche ad altre attività illecite come l’estorsione e l’usura.
Nel periodo preso in considerazione dalla ricerca, Lucca è stata protagonista anche per quanto riguarda lo spaccio di droga: l’operazione Akuarius (e successive), nel giugno 2016 avrebbe individuato e disarticolato, tra le province di Firenze, Livorno, Pisa, Prato, Pistoia, Massa e Lucca appunto, una organizzazione criminale calabro-ionica, il gruppo Pesci, dedita al cosiddetto brokeraggio nel traffico di droga e permesso di sequestrare oltre 65 chilogrammi di sostanze stupefacenti.
Il nostro territorio ha visto anche il perpetuarsi di diverse truffe ad almeno 100 aziende tramite società di comodo con sede a Lucca e nei comuni limitrofi. Queste società avrebbero acquistato, tramite assegni postdatati, grandi quantitativi di merce (dagli infissi ai carburanti, fino alle gru per cantieri edili) per poi sparire senza lasciare traccia, lasciando il posto ad altre società di facciata che ripetevano lo stesso meccanismo. Contestati in questo caso l’associazione a delinquere, truffa, bancarotta, ricettazione e riciclaggio.
Sempre secondo la ricerca, in lucchesia e Versilia si sarebbero registrati anche alcuni casi di pizzo ed estorsione. Lucca è ai primi posti della classifica regionale anche per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione.

Mercati illeciti e capitali ‘ripuliti’
In generale, gli interessi dei clan criminali sono duplici: far affari ma anche reinvestire il frutto di attività consumate altrove. Da un lato ci sono così i mercati illeciti, fin troppo fiorenti e vasti anche in Toscana da non attirare gli appetiti di gruppi criminali ben organizzati come le mafie storiche italiane o le mafie straniere, e dall’altro ci sono i capitali illeciti, che inquinano l’economia della Toscana.
Ecco così che il porto di Livorno si evidenzia come hub di ingresso per i traffici in larga scala di droghe e stupefacenti. Quello toscano è tra i mercati più fiorenti tra le regioni italiane, in mano non ad una ma più organizzazioni; ma la Toscana e il porto di Livorno sono uno snodo centrale soprattutto nel traffico internazionale di stupefacenti in ingresso in Europa, in particolare quello di cocaina, diretto da organizzazioni in gran parte riconducibili all”ndrangheta calabrese.
Ecco la connessione, forte, tra gioco d’azzardo e usura, riconducibile al clan dei ‘casalesi’ e alla malavita casertana, mentre pochi (a Prato nella comunità cinese, in Versilia, Lucchesia e Valdarno) si dimostrano i casi di pizzo e estorsione. Ecco lo sfruttamento della prostituzione, legato a fenomeni di tratta e riduzione della schiavitù, con un ruolo prevalente di gruppi stranieri rispetto a quelli italiani. Ecco il caporalato e lavoro irregolare, con la Maremma e il Senese più esposti di altri territori, e ultimo ma non certo meno grave il traffico di rifiuti. La Toscana, secondo le statistiche raccolte e rielaborate ogni anno da Legambiente, si posiziona infatti tra le prime regioni in Italia per fenomeni di criminalità ambientale, anche se va detto che, come accade per molti indici che partono dalla misura di denunce e azioni penali, le regioni più virtuose sul fronte dei controlli sono anche quelle che rischiano di più il possibile paradosso di presentare un numero più elevato di violazioni.
Pochi gli omicidi di matrice mafiosa, in particolare concentrati nei primi anni Novanta. Tra gli ultimi ce n’è uno a Tirrenia, nel 2015, legato a traffici di stupefacenti.
C’è poi la criminalità che non solo approfitta dei mercati illeciti, ma viene anche a ripulire in Toscana i capitali frutto di attività consumate altrove. La ricerca offre al riguardo una prima ricognizione. Gli investimenti, ingenti e diversificati, riguardano turismo, commercio e settore immobiliare, ancora il principale canale di investimento e riciclaggio della mafie storiche. C’è poi un’imprenditorialità mafiosa e criminale che riguarda lo smaltimento dei rifiuti, il tessile, le confezioni e l’edilizia, senza escludere a priori possibili forme di complicità e collusione con l’amministrazione pubblica.

Beni confiscati
La ricerca mostra anche una mappatura dei beni sotto sequestro o confiscati ad associazioni criminali. Il dato, aggiornato ad oggi, ci dice che sono 451, di cui 64 già riutilizzati per uso sociale. Le aziende confiscate sono 46, in gran parte ancora da destinare. Il grosso delle aziende si concentra a Prato e provincia, Lucca, Livorno e Firenze.
Certo, indicano gli studiosi, la possibile espansione dello strumento della confisca ad altre forme di reato impone la ricerca di soluzioni per superare le criticità legate ai tempi di assegnazione. Pochi sono infatti i beni per cui è stata decisa l’assegnazione definitiva. La tenuta di Suvignano, in provincia di Siena, è un caso emblematico. L’anno scorso è stata firmata un’intesa per la sua gestione con un progetto pilota di agricoltura sociale ma ancora manca l’ultimo passo.

Corruzione
La vulnerabilità di certi territori e mercati, come quello degli appalti pubblici, interessa anche le istituzioni. La ricerca passa così in rassegna alla fine anche il fenomeno della corruzione, incrociando i dati dei tribunali con quelli delle notizie apparse sui media. Si parte dalla Toscana, per poi successivamente allargare il raggio a tutta l’Italia. Gli enti locali, emerge chiaramente, sono il livello che resta più vulnerabile.
I numeri raccontano una netta linea di tendenza verso la crescita dei reati contro la Pa e in particolare dei reati di corruzione ad Arezzo (dove sono più che triplicati, passati da 36 a 113), a Firenze, Lucca e Prato; sono stabili invece a Livorno, Pisa e Siena. Almeno 21 processi per corruzione, sei per concussione e 39 per peculato sono stati avviati nei tribunali toscani tra il 2014 e 2015. Spiccano, dopo la provincia aretina, i ben 13 processi per corruzione avviati a Firenze, i 12 per peculato a Grosseto, i 13 sempre per peculato a Pistoia.
La ricerca non ha solo lo scopo di scattare una fotografia. La mappatura aiuterà a comprendere quali settori della pubblica amministrazione e quali funzioni e procedure siano più vulnerabili. L’Irpet e l’Osservatorio regionale sugli appalti, che collaborano, hanno elaborato dei primi indicatori di anomalia a partire da un’analisi di tutti i contratti banditi dalle amministrazioni pubbliche che operano in Toscana. Questi indicatori di rischio saranno messi a disposizione sia delle amministrazioni per aiutarle nell’elaborazione dei piani anticorruzione previsti dalla normativa nazionale, sia di tutta la società civile che così potrà vigilare sui comportamenti delle istituzioni pubbliche.

Le parole di Enrico Rossi, presidente della Toscana
“Non c’è, ad oggi – spiega il presidente della Regione Enrico Rossi – in Toscana una presenza territoriale organizzata della mafia. Ma domani potrebbe accadere. Già oggi del resto la Toscana è terra dove le mafie e la criminalità investono e sono state certificate presenze preoccupanti: sulla gestione dei rifiuti, sulle tratte e il caporalato, sul commercio della droga o i traffici del porto di Livorno. E non dobbiamo farci dunque trovare impreparati”.
“Serve – dice Rossi – un’attenzione consapevole, anche quando non ci sono grossi titoli,
perché chiudere gli occhi in questi casi è esiziale. La Toscana è attraversata da tutte le contraddizioni dell’epoca che stiamo vivendo. Serve uno screening periodico, per evitare sorprese e far sì che l’intervento chirurgico sia meno invasivo e con maggiori possibilità di successo”.
“Chi sa può contrastare meglio – conclude Rossi – ma sapere smuove anche la coscienza civile e questa è una grande ricchezza della Toscana: un tessuto sociale reattivo riconosciuto anche da più di un magistrato, vivo anche nelle istituzioni quando non si chiudono in se stesse e decidono di collaborare. Ed è quel fuoco attivo che ci permetterà di non fare passi indietro che con questa ricerca vogliamo stimolare, affinché i cittadini che sanno si facciano coraggio e montino le scale delle procure denunciando anomalie di ogni sorta”.

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