
Serenità e gratitudine. E’ con questi sentimenti che Mario Ciancarella si avvicinata al 14 febbraio, data nella quale il Tar della Toscana discuterà la vicenda relativa alla presunta falsificazione della firma del presidente Pertini sul decreto di radiazione con cui si ottenne l’allentamento allontanamento dalle forze armate di Ciancarella “per indegnità a rivestire il grado”. La falsificazione e’ stata accertata dal Tribunale Civile di Firenze con sentenza ormai passata in giudicato, ma le mosse della amministrazione della Difesa rendono incerta la sentenza del Tar .
“L’amministrazione della Difesa si è opposta – parla Ciancarella – e dopo le sue iniziali tattiche dilatorie varie ha dovuto confrontarsi con la nostra impugnativa davanti al Tar, opponendo la tesi che la firma del presidente, per quanto risulti falsificata, è un puro pro-forma su un atto in cui è prevalente la volontà militare di liberarsi di Ciancarella. Uno scomodo soggetto che aveva da sempre infastidito i superiori con la sua pretesa che la Costituzione ricevesse pieno diritto di cittadinanza nelle Forze Armate ed esse non fossero più quella ’beata insula incontaminata dal contagio costituzionale’, come ha ricordato il procuratore generale militare nella prolusione del 2000 per l’apertura dell’anno giudiziario”.
Ciancarella non nasconde i suoi dubbi sull’esito della vicenda: “Il tribunale è chiamato a valutare la mia richiesta di restitutio in integrum a fronte della posizione assunta dall’avvocatura di Stato in nome e per conto del Ministero difesa, secondo la quale la falsificazione della firma del Presidente in calce ad un decreto presidenziale non abbia rilevanza rispetto alla volontà militare. Cosa che considero un vero e proprio golpe contro le prerogative del presidente della Repubblica e che, se confermata, rappresenterebbe un precedente gravissimo per qualsiasi Militare e per qualsiasi cittadino. Poiché non avverto segnali positivi e siccome temo che non avrò diritto di intervento in aula nel procedimento che si va ad esaurire il prossimo 14 febbraio ho deciso di rendere noto il mio pensiero, quale che sia la soluzione adottata dai Magistrati e prima che essa sia emanata, riferendo a quanti volessero leggerlo, il mio stato d’animo in ordine alla mia condizione di fronte al giudizio amministrativo che si va a deliberare”.
“E’ anzitutto – spiega Ciancarella – una sensazione di assoluta serenità e di totale gratitudine. Serenità perché ancor più oggi, rispetto al 1983, posso sentire come persistente il convincimento che sia ’impossibile pentirsi’ come scrivevo nel commiato dalla Commissione di disciplina che esaminò il mio caso. Impossibile pentirsi per la coscienza di aver fatto il proprio dovere fino in fondo, quale ne fosse il costo. Ciò per cui avevo giurato fedeltà alla Costituzione anche a costo della vita. Gratitudine immensa per quanti mi sono stati accanto: i miei familiari che sono ancora qui, nonostante tutto quanto han dovuto subire in forza delle mie scelte, gratitudine per gli amici e le amiche della Associazione Antimafie e antifascista Rita Atria che non hanno mai deflesso dal loro incondizionato appoggio, gratitudine per i legali che mi hanno portato a questa tappa cruciale, l’avvocato Sergio Novani che per primo suggerì la acquisizione di una perizia calligrafica sullo sgorbio sostitutivo della firma del presidente Pertini apposto sul decreto di radiazione e l’avvocato Mauro Casella che ha avuto il cuore e la costanza di seguire l’iter giudiziario per il riconoscimento del falso e la rivendicazione del diritto conseguente. Ma soprattutto gratitudine per il Padre Celeste che mi ha insegnato come sia migliore una scelta di scendere e scendere piuttosto che l’ambizione di salire e salire che spesso snatura ogni umanità, e per i grandi educatori religiosi militari e civili che ho avuto il privilegio di incontrare nella mia vicenda umana. Essi furono il vescovo Giuliano Agresti che mi accompagnò con l’affetto di Padre ad essere sempre attento agli ultimi che portano il peso della storia, ai miei educatori militari il Generale Rea ed il generale Cazzaniga, formatori in Accademia, che mi impressero nella mente e nelle vene la consapevolezza che il compito primario di un ufficiale fosse quello di ’mantenere pulita l’Arma’, perché non si inceppasse quando fossi chiamato ad utilizzarla per gli scopi legittimi per cui mi era stata affidata, e conseguentemente gratitudine per coloro che ancora oggi mi avversano perché nelle loro azioni si riflette quella manutenzione approssimativa dell’Arma contro la quale mi sono battuto fin dagli esordi del mio impegno militare da ufficiale democratico. Ed infine gratitudine per i tanti partigiani che ho avuto l’onore e il privilegio di incontrare ricevendo la loro stima ed il loro affetto – tra essi Uliano Martini e Lionello Diomelli dell’Anpi di Pisa, il comandante Boldrini – il mitico comandante Bulow della Brigata Garibaldi che Pertini ci aveva indicato, con metodi propri dei partigiani, come nostro referente per i rapporti con la Presidenza della Repubblica – ma soprattutto il presidente partigiano Sandro Pertini. Congedandoci dopo il colloquio che volle avere con noi militari del Movimento Democratico Pertini ci ammoniva che avremmo avuto una vita professionale colma di guai, ma ci invitava a mantenere sempre fiducia nello Stato democratico, nella sua legge e nella sua Giustizia. Perché, disse, non v’è dubbio che in uno Stato che si fosse trasformato da democratico in autoritario il luogo proprio dei veri patrioti non potrebbe che essere il banco degli imputati e la loro sorte il carcere o l’esilio. Fu una grande lezione di vita che avrebbe portato Sandro Marcucci, Lino Totaro e me a vivere con sufficiente serenita’ le vicissitudini cui ci costrinsero superiori pieni solo della propria presunzione e collusi con le peggiori versioni della corruzione e della collusione militare”.
Ciancarella continua a ricapitolare la sua vicenda. “Non contenti di avermi già scacciato attraverso una firma falsa proditoriamente vergata al posto del presidente – attacca -, ripetutamente gli ambienti militari hanno cercato di accusarmi di crimini in qualche misura militari. Sempre qualcosa o qualcuno ha operato per spegnere ogni riflettore sulle vicende di cui parlavo, senza timore, rispondendo anche di fronte a procuratori militari. Subito dopo l’espulsione nel 1984 fu un procuratore di La Spezia a chiamarmi sul nuovo posto di lavoro – un mercato di surgelati – per avere referenze sulla vicenda Monte Serra. Dovette però convocarmi telefonicamente perché la prima convocazione scritta, per quanto trasmessa all’Ufficio postale di La Spezia non era mai stata inoltrata al mio indirizzo. In sede di audizione il magistrato (di cui non ricordo il nome) alla presenza del cancelliere verbalizzante, mi raccontava di come fosse stato costretto ad accettare che l’interrogatorio al capo ufficio comando della 46esima AB,, si svolgesse alla presenza di due uomini dei servizi che avevano di fatto pilotato e suggerito se non dettato ogni sua risposta. Si trattava della bruciante vicenda del Monte Serra che l’Ufficiale inquirente nel mio procedimento di disciplina aveva accuratamente evitato di citare o indagare. Poi dopo quel breve flash della deposizione silenzio di tomba”.
“Si legge in altri atti di procure militari che le incriminazioni, suggerite contro di me a seguito dei miei esposti dalla stessa Commissione di disciplina che mi aveva indagato disciplinarmente – aggiunge Ciancarella -, sarebbero cadute per la estrema genericità delle denunce che avrebbero impedito di risalire a qualsiasi responsabile dei fatti esposti. Ma nessuno si azzardò a sentirmi nel merito. Troppo alto il rischio di verbalizzare nomi e circostanze su cui sarebbe stato poi impossibile non indagare. Troppo elevato il rischio che venissero finalmente alla luce gli esiti della inchiesta amministrativa disposta dal Capo di Stato Maggiore ed accuratamente sottratte ad ogni indagine disciplinare e penale sulle mie denunce e che avevano trovato documentabili riscontri ad ogni affermazione. Anche recentemente quando si è riaccesa la attenzione alla mia vicenda a seguito dell’accertamento del falso del Presidente Pertini, ho ricevuto la visita di un ufficiale dei carabinieri inviato dalla procura militare di Roma e non ho esitato a rispondere ad ogni questione mi sia stata posta, alla presenza del mio legale Casella. Ma anche in questa circostanza si è tornati successivamente ad un silenzio assordante dei magistrati. Lo stesso giudice Priore dopo avermi ascoltato in quattro successive audizioni alla fine mi ha collocato, per Ustica, tra gli inconsapevoli apportatori di elementi inquinanti. Fino ad oggi ho sempre incontrato uno Stato reticente e renitente di fronte al suo dovere di applicare la giustizia nella ricerca della verità – è l’amaro pensiero di Ciancarella – per rendere onore alle vittime di ingiusti e scellerati atti di violenza, o per accertare le distorsioni e corruzioni che andavo denunciando. Fosse anche al solo fine di risvegliare la coscienza dei responsabili attraverso le indagini a loro carico che si fossero svolte, e certamente per richiamarli al rispetto delle disposizioni costituzionali e dai valori che non possono mai essere ’affatto diversi da quelli pur nobili della società civile’. Mi auguro di incontrare finalmente un giudice a Berlino che abbia cuore e determinazione per ristabilire una idea di giustizia che sia assimilabile a quella avuta dai padri costituenti per cui lo Stato si impegna a rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Mi auguro di vedere confermata da un Tar italiano la stessa linea dell’Alta Corte statunitense che nel 1873 sanzionava severamente dei funzionari corrotti e motivava questa sua severità affermando: ’Perché sia a tutti chiaro che nessuno in questo Paese può sentirsi talmente in alto da poter essere o volersi mettere al di sopra della legge’. Ripeto: tra cio’ che mi attendo e la realtà potrebbe esserci una forte divaricazione ma e’ ciò che sono pronto ad affrontare con immutata serenità per via del monito di Pertini: ’In uno Stato che si fosse mutato da democratico in autoritario il luogo proprio dei veri patrioti non potrebbe che essere il banco degli imputati e la loro sorte non potrebbe che essere il carcere o l’esilio’. Ad oggi posso dire di averli subiti entrambi. Continuo ad augurarmi che possa essere finita questa parte di storia. Per tornare ad aprire uno squarcio sulle sorti delle vittime di ogni violenza e di ogni strage. E’ tutto quello che vorrei dire davanti al Tar e che temo non mi sarà comunque consentito dire”.