Ciclisti “suonati come tamburi”: via interrogatori

11 febbraio 2018 | 16:02
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Ciclisti “suonati come tamburi”: via interrogatori

“Mario se corri domenica devi far passare sette giorni, se invece corri sabato Mario lo devi fare lunedì”. Per gli inquirenti Mario sta per Epo, il farmaco dopante che sarebbe stato propinato a giovani e giovanissimi atleti della squadra di ciclismo dilettanti Gfdd Altopack. Sostanze che arrivavano e venivano somministrate, per l’accusa, a casa dei genitori del presidente Luca Franceschi, un’abitazione trasformata in “clinica abusiva”, dove agli atleti veniva passata “roba seria”, tanto da ridurli “suonati come tamburi”, ricostruiscono gli inquirenti dalle intercettazioni. Sono proprio quelle decine e decine di conversazioni insieme al materiale sequestrato che hanno incastrato e mandato ai domicilari oltre a Luca Franceschi, il padre Narciso e la madre Maria Luisa Luciani: “Ti lascio da Luisa e me ne vado”. “A fare una ricarica”, dicono due atleti in una conversazione intercettata su una delle ammiraglie del team.

Insieme ai tre, sono agli arresti anche l’ex ds Elso Frediani, il farmacista Andrea Bianchi e Michele Viola, ritenuto il ’fornitore’ del gruppo, l’unico a cui non è contestata l’associazione a delinquere (Leggi). Da domani (12 febbraio) iniziano gli interrogatori di garanzia davanti al gip Giuseppe Pezzuti. Finora hanno fatto tutti scena muta. E nemmeno gli indagati, fra cui un medico sportivo e un ciclista amatoriale della Garfagnana, hanno collaborato.
Per gli inquirenti era Luca Franceschi a spingere gli atleti a doparsi (“Luca vuole fare il boom”, dicono di lui gli stessi corridori). Ma anche i genitori per l’accusa avevano un ruolo centrale. Perché dopo la morte di Linas “in ritiro non tengono nemmeno le vitamine”, parlano i ciclisti nelle intercettazione. E allora, ipotizzano gli inquirenti, arrivava tutto nella casa dei genitori in via della Madonnina. Qui dove forse c’era (ma non è stato mai trovato) anche un foglietto con i consigli su come somministrare l’Epo: “Se corri sabato Mario lo devi fare lunedì”.
Il 27 luglio scorso due ciclisti vengono ’intercettati’ quando escono da casa di Narciso Franceschi in via della Madonnina a Capannori. Stanno dieci dieci minuti e subito dopo risalgono in auto. Il corridore più giovane lamenta che continua a uscirgli sangue, probabilmente, ricostruiscono gli inquirenti dal punto in cui ha assunto i farmaci vietati per endovena. “Puttana,mi continua ad uscire il sangue. Mo vado in ritiro che…”.
Qualche giorno dopo, il 31 luglio, viene intercettata un’altra conversazione tra quest’ultimo ciclista e un altro atleta che secondo gli inquirenti “sarebbe esperto” nel praticare iniezioni endovenose: “Io do una mano a tutti a farlo – dice – perché se uno se lo fa da solo e non lo sa fare si fa pure male. Non è un problema però poi gliel’ho detto a Luca eh, perché lui mi dice quando andate da Luisa (la madre di Franceschi, ndr), perché non sei voluto andare? Ho detto senti, non per cattiveria,ma qui si parla troppo, non vorrei che qui un giorno vanno da un’altra parte, fanno la stessa cosa e dicono vedi (nome dell’atleta) lui mi ha aiutato a fare quello, lui era bravo a fare queste cose”.
“E lui che ti ha detto?” chiede l’altro. “Niente, Luca lo sai lo faccio volentieri però nn è per cattiveria – spiega – non è chenon ci voglio andare, io ho sempre aiutato tutti a fare queste cose, non sempre così che poi va a finire…lui mi fa: no, no va bene hai ragione, poi non so se ha parlato con Alban (un altro giocatore del tema) a me da quel giorno mi ha veramente dato al cazzo perché così va a finire e poi passo dalla nominata del cazzo, perché di quelli che stanno lì in mezzo son l’unico che non fa un cazzo”.
Il 1 agosto nell’ammiraglia della squadra viene registrata una conversazione fra due ciclisti uno dei quali confessa che gli hanno proposto di “fare della roba”, di assumere, chiosano i magistrati, un certo tipo di farmaco dopante ma lui ha paura dei controlli: “Mi hanno proposto di fare della roba ma non voglio -racconta – roba seria”.
L’altro gli chiede se è per la Firenze Mare: “Sì in generale”.”Chi ti ha proposto, Luca?”. E l’altro “Sta zitto eh?”. “Io sto zitto – dice l’altro – di me ti puoi fidare, forse son l’unico: sai quante cose so…”. Nonostante le perplessità i due la sera si fermano davanti casa di Narciso Francesco, poi quando ne escono sono turbati e parlano dell’Epo: “dentro Epo c’è una cosa che c’è solo dentro Epo e non ti trovano Epo, ti trovano questa che c’è solo in quel prodotto”.
La sera del 3 agosto in macchina davanti alla sede del ritiro altri due corridori parlano delle loro paure dei controlli ma uno di loro sembra ormai deciso e anzi spiega all’altro i tempi necessari a non far risultare positivi i test antidoping dopo l’assunzione delle sostanze
“Luca vuole fare il boom… e oh, manchiamo solo noi”. L’altro è scettico: “No, per l’avvenire no, sempre che c’è il rischio  che sai, la tecnologia va avanti”.
L’altro lo corregge: “E’ difficile, difficile se lasci tanti giorni è proprio impossibile, dai. Allora, se tu lasci cinque giorni già puoi stare tranquilli, se ne lasci sei proprio non devi avere problemi”.
Subito dopo l’altro ciclista chiede se deve andare da Luisa (la madre di Franceschi). Lui risponde sì e rilancia: “Ti lascio lì e me ne vado”, “a fare una ricarica”, suggerisce l’altro.
Ma per l’accusa non ’circolava’ soltanto l’Epo. C’erano anche altre sostanze pericolose, tra cui potenti analgesici che venivano, per l’accusa, somministrati agli atleti. Per questo nell’ordinanza figura anche un’intercettazione tra due  collaboratori della squadra in cui si parla degli effetti del Contramal (analgesico a base di oppiacei) e dei suoi effetti su un giovane atleta.
“Mi ha detto che fa – spiega uno dei due riferendosi ad un ciclista del tema di cui è venuto a sapere da un altro corridore  -delle cose fuori dal limite dove può arrivare, poi si è riempito di Contramal stamani, di antidolorifici perché si riempie eh. E’ pieno di acido lattico che appesta: finito ha detto. Si riempie di Cntramal che almeno non sente la fatica e poi quando gli finisce l’effetto non capisce più un cazzo, hai visto che era sonato come un tamburo, non sapeva neanche dov’era. Ora se va all’ospedale ni dicono: oh ma te che fai bimbo”.