Un meccanismo gelatinoso, con connivenze anche nella pubblica amministrazione, attraverso cui appalti per lavori pubblici mai eseguiti finivano in tasca a società, gestite o comunque controllate dalla camorra. Un giro che in breve tempo avrebbe fruttato circa 6 milioni di euro e pilotato, secondo la guardia di finanza, da affiliati al clan dei Casalesi, con base a Lucca. Cinque gli arresti eseguiti grazie alle indagini delle fiamme gialle di Lucca a cui si sono aggiunti sequestri di beni e perquisizioni sia in Toscana che in Campania, con la collaborazione della guardia di finanza di Napoli.
E’ il bilancio dell’operazione Ghost Tender, che ruota attorno ad appalti dell’Asl 3 di Napoli sud aggiudicati a ditte ‘compiacenti’ per lavori mai eseguiti. La regia, secondo l’accusa, era proprio in Lucchesia: dietro le quinte c’erano gli imprenditori edili De Rosa, residente a Lucca, e due esponenti della famiglia Piccolo, uno residente a Caserta e l’altro a Montecarlo che, secondo quanto ricostruito utilizzando società con sede in Toscana e Campania, molte delle quali “apri e chiudi” ed intestate a prestanome, attraverso turbative d’asta attuate con “accordi di cartello”, si sarebbero aggiudicati oltre 50 commesse della Asl 3 di Napoli Sud, per lavori di somma urgenza e “cottimi fiduciari”, banditi per importi al di sotto di valori soglia oltre i quali sarebbe stato necessario imbastire formale gara di appalto.
In questo modo, l’invito a partecipare veniva sistematicamente effettuato ad imprese, riconducibili al sodalizio, che, a turno, risultavano aggiudicatarie dei lavori. Questi ultimi, pur risultando falsamente attestati come avvenuti, di fatto in gran parte non venivano eseguiti. Per questo scopo il sodalizio avrebbe stabilito consolidati rapporti corruttivi con un dirigente responsabile del servizio tecnico dell’area sud dell’Asl 3, Donnarumma, residente a Pimonte in provincia di Napoli, che non solo aggiudicava l’appalto in violazione delle norme di trasparenza, correttezza e imparzialità, ma consentiva al gruppo, per l’accusa, di conseguirne il pagamento pur in assenza di qualsivoglia esecuzione dei lavori.
Dalle prime ore di questa mattina (26 marzo), in esecuzione di un provvedimento emesso dal Gip di Firenze, nell’ambito di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della procura della repubblica di Firenze, finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Lucca hanno eseguito, in Toscana e in Campania, le cinque ordinanze di custodia cautelare, 50 perquisizioni e sequestri di beni, per circa 6 milioni di euro, nei confronti di 30 aziende, imprenditori contigui al clan dei casalesi e relativi prestanome, nonché del dirigente dell’Asl 3 di Napoli sud, con sede a Torre Annunziata.
Le investigazioni, coordinate dal procuratore capo Giuseppe Creazzo e dal sostituto procuratore Giulio Monferini, hanno fatto emergere quello che viene ritenuto dagli inquirenti un gruppo criminale, con base nella provincia di Lucca.
Il gruppo sarebbe riuscito, negli ultimi anni, ad incamerare illecitamente e “a costo zero” appalti per oltre 6 milioni di euro, che venivano riciclati nello svolgimento delle attività immobiliari del sodalizio – come l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione di edifici da parte di società del gruppo con sede in provincia di Lucca (Opera Italia Srl, Fl Appalti Srl, Edil Tre Srl, Olca Srls) e Grosseto (Em Appalti Srl), inquinando in tal modo l’economia legale e alterando le condizioni di concorrenza. Una parte dei profitti sarebbe stata poi trasferita e, all’occorrenza, monetizzata attraverso pagamenti di forniture fittizie alla società Edilizia Srl, con sede legale a Roma e base operativa a Casaluce, di fatto diretta, sempre stando alle accuse, dall’imprenditore Ferri, residente a Frignano, anch’egli destinatario di misura cautelare personale. Quanto al pubblico ufficiale Donnarrumma, a fronte dei favori resi all’organizzazione, avrebbe ottenuto denaro, la vendita di un appartamento ad un prezzo ampiamente sottostimato e altre utilità a favore di suoi familiari.
Sostanzialmente, secondo quanto ipotizzato dalle fiamme gialle, il clan si sarebbe ‘infiltrato’ in commesse per lavori di importi inferiori ai 200mila euro per i quali si poteva procedere con l’affidamento diretto (fino ai 40mila euro) o con la procedura ristretta a cui venivano invitate le ditte che, per l’accusa, facevano parte del giro.
Ad alcuni tra gli arrestati è stata, quindi, anche contestata l’aggravante di aver agevolato la cosca mafiosa dei casalesi della fazione di Michele Zagaria, notoriamente radicata nel casertano (Casapesenna, San Cipriano D’Aversa, Trentola Ducenta, San Marcellino) e con ramificazioni in Toscana, nel Lazio e in Emilia Romagna, da sempre caratterizzata per il suo particolare attivismo nel mondo imprenditoriale e nel settore degli appalti pubblici. In particolare i Piccolo e De Rosa sarebbero da considerare, sempre secondo le accuse, “a disposizione del clan” avendogli inoltre consentito, tramite un imprenditore campano considerato “a libro paga” della famiglia Zagaria, di aggiudicarsi diversi appalti della Asl 3 di Torre Annunziata.
Tra gli ulteriori appartenenti al sodalizio, infine, anche un avvocato, che svolge l’attività di consulente del lavoro con sedi a Salerno e a Follonica e che, consapevole della falsità dei lavori e della riconducibilità delle aziende interessate agli affiliati del clan, avrebbe fornito loro servizi contabili e amministrativi, assicurando un’apparente regolarità delle attività imprenditoriali e della contabilità degli appalti. Il professionista è indagato.
L’operazione è stata condotta, sotto l’egida della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, in stretto collegamento investigativo con la direzione distrettuale antimafia di Napoli e la procura della Repubblica di Napoli Nord, la quale, nell’ambito di un distinto contesto di indagini, ha proceduto, con la Guardia di Finanza di Aversa, all’esecuzione di 34 misure cautelari personali.
L’indagine, effettuata in coordinamento investigativo con le Direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di Firenze, ha
consentito di individuare 6 società ‘cartiere’ con sede in Roma e nelle province di Lucca e Caserta, che, secondo l’ipotesi accusatoria, nel periodo 2009/2016, hanno emesso fatture per operazioni inesistenti, per oltre 100 milioni di euro, a favore di 643 imprese beneficiarie della frode ed effettivamente operanti nel settore edile nell’intero territorio nazionale, prevalentemente nella Regione Campania, ma anche nelle Marche, in Toscana, Emilia Romagna, Lazio ed Umbria.
E’ così emerso dalle indagini, secondo la procura del Tribunale di Napoli Nord, che le società edili, dislocate in diverse province italiane, per simulare l’effettività delle operazioni commerciali, pagavano il corrispettivo, tramite bonifici bancari, alle società ‘cartiere’ riconducibili ai promotori della frode, che di contro emettevano le false fatture di vendita.
Successivamente le ‘cartiere’ rimettevano le intere somme ricevute su conti correnti intestati ad altre ditte o società di comodo, le quali le trasferivano ulteriormente, mediante operazioni di giroconto e ricariche di carte postepay evolution, ai numerosi sodali addetti alle operazioni di prelievo.