
Respinta definitivamente dalla Cassazione la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione che era stata avanzata dal neo eletto presidente della Fondazione Versiliana Alfredo Benedetti. Con ordinanza emessa il 29 settembre 2016 la Corte di Appello di Firenze aveva già rigettato l’istanza con la quale Alfredo Benedetti aveva chiesto il riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione che ritemeva di aver subito nell’ambito del procedimento penale a suo carico, definito nei suoi confronti con sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Lucca alcuni anni fa.
Benedetti era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal 31 gennaio 2006 al 2 marzo 2006 e a quella degli arresti domiciliari dal 3 marzo 2006 al 26 aprile 2006. La vicenda processuale che lo aveva coinvolto riguardava ipotesi di corruzione quando all’epoca era assessore ai lavori pubblici del Comune di Pietrasanta guidata in quegli anni dall’attuale senatore Massimo Mallegni, che era stato anch’egli indagato e poi prosciolto definitivamente da ogni capo d’accusa. Per Benedetti era scattata l’assoluzione invece già dal primo grado di giudizio ma la Cassazione gli ha negato il risarcimento per l’ingiusta detenzione subita in sede cautelare. Scrivono in maniera chiara i giudici di Piazza Cavour nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi: “In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice. Inoltre, pur essendo intangibile il diritto al silenzio ed anche al mendacio, è evidente che in una situazione fattuale che integra gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi dell’indennizzo ove non abbia fornito quel minimo di collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce sui fatti contestati. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che si liquidano in euro mille”. La vicenda è conclusa anche nel suo ultimo atto giudiziario possibile.
Vincenzo Brunelli