
Negli ultimi giorni il dibattito pubblico italiano è stato sconvolto dalla notizia del rapimento in Kenya della volontaria italiana Silvia Romano. La 23enne operava da pochi mesi in un asilo di Chakama, nel sud del paese. Il rapimento è stato particolarmente cruento ed ha portato al ferimento di altre cinque persone. La notizia è diventata virale nel giro di pochi minuti ma non ha provocato reazioni univoche. Se da una parte, infatti, in molti sui social hanno augurato che la situazione della volontaria italiana si potesse risolvere per il meglio e nel più breve tempo possibile, dall’altro, sono stati in moltissimi gli utenti che hanno censurato l’operato di questi ragazzi definiti come “ingenui” o “incoscienti”. In molti hanno sottolineato come si potrebbe fare volontariato anche in Italia senza andare a rischiare la vita in Africa e come questi continui rapimenti rappresentino un costo per le casse dello Stato. Ma cosa ne pensa di questa situazione chi ci è passato? Lo abbiamo chiesto a Francesco Azzarà. Calabrese di origine ma lucchese d’adozione, nel 2011 Azzarà venne rapito mentre si trovava in Darfur come addetto alla logistica e all’amministrazione di un centro pediatrico aperto da Emergency. La sua prigionia durò 4 mesi.
Francesco, cosa si prova in quei momenti?
Soprattutto all’inizio è veramente dura, c’è lo shock del rapimento, la paura, la tensione, l’essere portati via con la forza. Sono stati mesi durissimi, non c’è dubbio. Rispetto alla situazione di Silvia Romano però io sono stato fortunato: nel mio caso non ci sono state percosse, non c’è stata un’azione violenta, in questo caso invece sono rimaste ferite anche altre persone. Nel complesso sono stato trattato bene, per quanto uno possa essere trattato bene durante un rapimento. Momenti di tensione ci sono stati ma soprattutto tra i miei carcerieri per decidere cosa fare di me. Ci sono stati dei momenti abbastanza forti, ero guardato a vista, ma per fortuna non mi hanno mai fatto del male.
Vuoi lanciare un messaggio alla famiglia?
Quello che mi sento di dire è di stare tranquilli e di affidarsi in tutto e per tutto alle autorità italiane. Forse è brutto da dire ma i rapitori hanno tutto l’interesse a mantenere l’ostaggio in buona salute perché altrimenti perderebbero la loro “merce di scambio”. Le auguro di tornare presto a casa.
Cosa ne pensi delle polemiche montate sui social immediatamente dopo la notizia del suo rapimento?
Premetto che io non ho nessun profilo social, quello che so l’ho appreso dai giornali. Quello che ho letto mi è sembrato abbastanza contraddittorio: prima si dice “Aiutiamoli a casa loro” e, subito dopo, le stesse persone dicono che non c’è bisogno di andare in Africa per fare volontariato e che si può fare in Italia. Mi sembrano polemiche abbastanza strumentali, anche perché a parlare così sono poi quelle persone che non sono disposte a muovere un dito per gli altri. Non stiamo parlando di persone che vanno in Africa per moda o perché non hanno altro da fare. Stiamo parlando di volontari, di persone che vanno la per aiutare i più deboli e, in questo, sentirsi realizzati.
E a chi dice che questi continui rapimenti rappresentano un costo per lo Stato?
Si, c’è chi sostiene che pagando il riscatto e trattando con i rapitori si incentivano ulteriormente azioni di questo tipo. Questo forse è vero, in effetti altri stati trattano la questione in maniera diversa, ma quello che la gente non capisce è che spesso e volentieri lo scopo principale di questi rapimenti non è il riscatto. Dietro possono esserci moltissime considerazioni: ci può essere una rivendicazione sociale o politica, oppure il rapimento può essere utilizzato da un qualche gruppo come mezzo per essere preso in considerazione come interlocutore. Molto raramente la finalità è quella economica. E comunque si tratta pur sempre di aiutare cittadini italiani che si trovano in difficoltà all’estero. Negli ultimi decenni in questo paese si sono scialacquati fiumi di denaro, non credo sia su questo che dovremmo iniziare a risparmiare.
Lo rifarebbe?
Sì, tranquillamente. Non sono tornato in Africa per la mia famiglia ma non avrei avuto problemi a farlo. Quando sei laggiù senti che stai facendo qualcosa di importante. C’è chi si sente realizzato facendo sempre ripetutamente le stesse cose e chi invece trova soddisfazione facendo altro, andando oltre i confini del proprio paese. Ognuno dovrebbe poter essere libero di aiutare gli altri nel modo che ritiene più opportuno. Stiamo pur sempre parlando di volontariato.
Luca Dal Poggetto