Azzardo patologico, nella rete anche giovani e anziani

29 novembre 2018 | 13:49
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Azzardo patologico, nella rete anche giovani e anziani
Azzardo patologico, nella rete anche giovani e anziani
Azzardo patologico, nella rete anche giovani e anziani

Non solo alcol e droga. Perché si può entrare nel circolo vizioso delle dipendenze per decine di altri motivi. Anche di questo nella sua mini-inchiesta Lucca in Diretta ha parlato con la dottoressa Ellena Pioli, responsabile dell’unità funzionale delle Dipendenze per Lucca e Piana, all’interno del dipartimento della salute mentale della Asl Toscana nord ovest.
Fra le questioni più urgenti, sulle quali anche la politica si sta interrogando (si veda il decreto dignità recentemente approvato) c’è senza dubbio la dipendenza da gioco di azzardo patologico.
Innanzitutto come si fa a individuare che si tratta di una dipendenza? Il protocollo si è ormai affinato e parte dalla risposta ad alcune semplici domande: “Torni a giocare per recuperare le perdite se hai perduto tutti i tuoi soldi al gioco? Spendi sempre più denaro e trascorri sempre più tempo a giocare? Sei convinto che il gioco è una pura questione di abilità? Diventi irritabile quando non puoi andare a giocare?”. Se la prevalenza delle risposte è positiva è certificato, in linea di massima, che esiste un problema.

Al 30 settembre scorso a Lucca risultavano in carico al servizio sanitario 71 persone, in larga maggioranza maschi (57). Fra questi ultimi anche un assistito nella fascia di età che arriva fino ai 19 anni. La maggior parte delle persone in cura sono fra i 40 e i 49 anni (20), seguiti da persone fra i 50 e i 59 anni (17) e, ahimè, dai giovani fra i 20 e i 29 (11). Ci sono anche 9 pazienti dipendendti dal gioco di azzardo patologico ultra70enni.
Per la maggior parte la dipendenza riguarda videopoker e slot machine, che hanno raggiunto in questi anni la massima diffusione, ma va ancora pure il settore delle scommesse sull’ippica. Delle 71 persone in trattamento per la dipendenza 64 sono italiani e 7 stranieri, per la maggioranza rumeni (3), mentre gli altri provengono da Albania, Brasile, Costa d’Avorio e Senegal.
“Come Asl – spiega la dottoressa Pioli – abbiamo iniziato nel 2000 con le prime richieste. Poi il problema è arrivato ad un livello piuttosto serio anche a causa della situazione economica e per l’apertura al commercio del gioco che, comunque, non ha soppiantato il gioco clandestino”.
Il paziente di solito arriva da solo o accompagnato dalla famiglia per iniziare un percorso:
“Il trattamento – spiega la dottoressa Pioli – è più che altro di sostegno. Dopo una prima fase di accoglienza e di valutazione diagnostica con una equipe di professionisti, sono infatti previste sedute psicoterapiche e visite psichiatriche ed eventualmente una terapia di tipo psicofarmacologico. Gli incontri riguardano sia le persone in fase acuta sia chi si è stabilizzato. Esiste poi la possibilità di trattamenti residenziali di breve durata, intorno ai 20 giorni, oppure più lunghi”.
La fase di sostegno riguarda anche il piano economico, perché il gioco compulsivo mette a repentaglio le finanze di coloro che soffrono di questa dipendenza: “Per questo – spiega la dottoressa Pioli – collaboriamo con la Caritas e con i centri antiusura. In passato era presente anche un avvocato, nell’ambito della nostra struttura, per assistere le persone in difficoltà”.
Difficoltà che, a volte, porta a inevitabili conseguenze: “Le difficoltà legate al gioco d’azzardo – spiega ancora la dottoressa – possono portare ad una profonda depressione e anche a tentativi di suicidio. La dipendenza crea gravi problemi relazionali che conducono anche a separazioni, divorzi e perdita del lavoro, legate a volte ad ammanchi registrati negli uffici, con questo denaro utilizzato dalla persona per coprire quanto perso al gioco”.
C’è, comunque, una differenza di genere per quanto riguarda l’approccio al gioco d’azzardo: “Il gioco maschile – spiega la dottoressa Pioli – è più che altro legato all’impulsività, connessa alla perdita di ruolo sociale e alle difficoltà economiche. Le donne, invece, giocano di più per situazioni relazionali difficili: per ansia, depressione e solitudine”.
I trattamenti sono, comunque, ancora in piena fase sperimentale: “Si avverte l’esigenza – spiega ancora la dottoressa – di operatori specializzati. Sono già partiti dei corsi e inizia ad esserci formazione anche nel pubblico. Sarebbe importante la presenza di un centro di secondo livello per affrontare queste situazioni”.
Molto attiva, su questo fronte, anche la ricerca: “Al momento ne abbiamo una in corso con la clinica psichiatrica di Pisa e con la professoressa Dell’Osso. Si tratta di fare una valutazione psicopatologica del gioco d’azzardo con un test che valuta anche il tipo di risposta e gli esiti dei trattamenti. Si cerca, insomma, di affinare il tipo di intervento, per permettere di avere la miglior valutazione possibile all’ingresso per rendere il percorso il più efficace possibile”.

Enrico Pace
Ha collaborato Giulia Prete