
Condannato definitivamente a 6 anni di reclusione un 48enne calabrese per un vorticoso spaccio di cocaina tra la Calabria e la città di Lucca e la Versilia. Ogni singolo spacciatore di droga in Italia, a prescindere dalla nazionalità, dal giro di affari e dal contesto in cui opera fa parte di una filiera di rifornimento che comunque alla fine fa capo sempre alle mafie italiane che a volte in territori diversi da quelli di appartenenza agiscono in perfetta sinergia. Gli affari sono affari.
Se non si parte da questo dato delle ultime relazioni della Dia non si possono comprendere appieno alcune inchieste giudiziarie e alcuni processi. Stamattina (7 maggio) la suprema corte di Cassazione ha pubblicato la sentenza e le relative motivazione in merito al processo per spaccio di droga di cui era imputato Antonio Bonasorta, 48 anni originario di Polistena, cosiderato dagli inquirenti vicino al clan di ‘ndrangheta Molè della Piana di Gioia Tauro. Sei anni di reclusione e 40mila euro di multa in relazione a plurimi episodi di cessione in concorso di consistenti quantitativi di sostanza stupefacente, prevalentemente cocaina. L’inchiesta denominata “Primavera bianca”, alla base del processo era stata avviata dalla polizia di Lucca, coordinata dalla Procura della Repubblica, oltre dieci anni fa, e avrebbe consentito poi agli inquirenti di smantellare un canale di rifornimento della cocaina in Lucchesia. La polvere bianca raggiungeva la città attraverso tre percorsi: Milano, Brescia e Viareggio con movimenti pari a 4-5 chili per un valore di circa 1 milione di euro sempre di provenienza calabrese e dal porto di Gioia tauro in particolare da cui le cosche fanno arrivare la droga direttamente dal Sud America.Secondo la procura la droga veniva consumata prevalentemente in occasione di festini e party privati a volte anche a luci rosse in città e in località della Verslia. Quattordici imputati avevano patteggiato e altri tredici erano stati ammessi al rito abbreviato mentre Antonio Bonasorta e altri tre erano stati giudicati con il rito ordinario. In questo procedimento giudiziario esponenti della camorra e della ‘ndrangheta avevano agito di comune accordo, secondo le ricostruzioni dei giudici, per rifornire di cocaina e hashish i pusher lucchesi sia di origini italiane che straniere. L’imputato successivamente è stato condannato due anni fa anche dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria all’interno del processo della Dda denominato Mediteraneo che aveva svelato l’attività di narcotraffico del clan Molè, attraverso la quale la cosca sarebbe riuscita ad assicurarsi un regolare flusso di ingenti quantitativi di hashish e cocaina in entrata sulla Capitale, sfruttando tre direttrici di approvvigionamento e il ricorso ad una strutturata rete di sodali, sia italiani che stranieri. Due aree geografiche diverse ma stesso metodo e soprattutto sempre con le mafie italiane protagoniste.
Vincenzo Brunelli