Strage di Viareggio 10 anni dopo nel racconto dei soccorritori

Il fumo, le fiamme alte, la puzza di gas, quelle urla che tornano alla mente anche solo sentendo il fischio dei treni. Sono passati dieci anni da quella sera, ma per i soccorritori intervenuti in via Ponchielli questa data è un nodo che stringe forte alla gola. Trentadue morti, molti dei quali bambini o deceduti dopo mesi di agonia in ospedale. Decine di feriti gravi, una strada quasi rasa al suolo, processi molto chiacchierati e decine di famiglie distrutte dal dolore.
Dieci anni e forse qualcuno comincerà a pagare per le proprie responsabilità. Una sera come tante altre quella del 29 giugno del 2009, montati di turno con ancora il boccone sullo stomaco e quella voglia matta di rimanere in sede a giocare a carte godendosi il fresco dopo una giornata di sole e di afa. Era un lunedì, Viareggio profumava d’estate e tutto era abbastanza tranquillo. Scuole finite, la gente in giro a prendere un gelato.
In Croce Verde c’era chi stava riposando sul letto per affrontare al meglio la nottata di turno, altri invece dopo un’oretta avrebbero salutato tutti e sarebbero tornati a casa dopo una serata in ambulanza, ammazzando il tempo che rimaneva chiacchierando sulla porta. Ma poi accadde qualcosa: “All’improvviso il cielo si riempì di fumo biancastro, una nuvola bianca, come un mare sospeso – racconta Gianluca – ci chiedemmo cosa diamine fosse. L’uscita dei mezzi di soccorso era proprio di fronte alla stazione, saranno stati dieci metri. Corsi fino all’angolo della strada ma non riuscii a vedere nulla. Poi vidi due uomini che scavalcarono i muri della stazione, solo dopo seppi che erano i macchinisti del treno. ‘Andate via’, ci urlarono, ‘Andate via, qua scoppia tutto’. Successe tutto in pochi secondi, nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Ci chiesero di chiamare aiuto. Io rimasi lì in sede per chiamare i vigili del fuoco, mentre il nostro autista cercò di mettere in salvo l’ambulanza, spostandola dal garage. All’ambulanza non c’è mai arrivato”.
“Uno scoppio improvviso e indescrivibile – racconta il volontario – in un attimo ci siamo ritrovati con la sede in fiamme e le ambulanze distrutte, esplose in un soffio. Il garage che prendeva fuoco, i mezzi che bruciavano, l’edificio che cadeva a pezzi. Eravamo circondati da macerie, dovevamo salvare quel poco che rimaneva. Alcuni volontari stavano dormendo e siamo corsi a svegliarli, erano completamente intontiti dal fumo, sarebbero rimasti intrappolati lì. Purtroppo siamo intervenuti in stazione almeno un’ ora dopo, molti volontari sono andati a piedi. Ci era rimasto solo un mezzo”.
A parlare anche il volontario investito dalla lingua di fuoco: “Avevo ustioni sul 30 per cento del corpo, sono stato in ospedale un mese – racconta Luigi – Quella era una serata tranquilla, dopo poco ci siamo ritrovati in mezzo alle fiamme. Decisi di portare via l’ambulanza per metterla in salvo, ma l’esplosione mi ha preso in pieno. Ho perso conoscenza e sono rimasto a terra. Quando mi sono ripreso non riuscivo a respirare, mi bruciavano gambe e braccia. Con un mezzo di fortuna mi hanno trasportato al pronto soccorso. Ho reagito bene alle ustioni, ma è stata dura – racconta – e nonostante tutto sono tornato a fare volontariato. Sono più di quarant’anni che guido l’ambulanza, non saprei fare altro. Ormai è nel sangue”.
“Sono stato molto fortunato – dice Luigi – ci siamo trovati in mezzo a una bomba. In certe situazioni non sai nemmeno che fare: tremava tutto, c’era fumo ovunque. Noi siamo salvi, con qualche cicatrice ma siamo salvi, ma c’è chi purtroppo non ha avuto tanta fortuna. Il mio pensiero va sempre a loro ed è importante ricordare alla gente cosa è successo quella sera”.
“Quella sera sono stato uno dei primi volontari ad uscire con l’ambulanza – racconta Massimo – Avevo appena finito di lavorare, ai tempi lavoravo alla centrale del 118. Ero a casa di mia madre con mia moglie, quell’estate aspettavamo il nostro secondo figlio, aveva il pancione. Andavo sempre a dormire molto presto, quella sera fu proprio mia moglie a svegliarmi. ‘Sento dei rumori forti’, mi disse. Non ci feci caso, era estate, pensavo fossero fuochi d’artificio, la gente in strada. Quando richiusi gli occhi per riaddormentarmi invece sentii l’esplosione. Saltai sul letto e chiamai subito il 118, rispose la mia collega che purtroppo se ne è andata dieci giorni fa. Fu lei a gestire tutti i soccorsi quella sera. ‘Laura, le dissi, ma che è successo?’, lei mi implorò di andare subito alla Croce Verde, nessuno sapeva ancora nulla ma la situazione pareva grave. Forse è esplosa la centralina elettrica della stazione, pensavamo. Mi alzai e partii subito con lo scooter verso la sede, non misi nemmeno la divisa: quando arrivai c’era l’inferno. Il portone del garage era in fiamme e le ambulanze era come se fossero state pressate. Presi l’unica che era rimasta illesa, protetta dal muro di cemento armato. Ci misi dentro guanti, flebo, qualsiasi cosa mi capitava per le mani. Andai subito in stazione e portai immediatamente i feriti gravi in ospedale. Rientrai la mattina alle 5″.
“Dieci anni dopo… è dura. Talmente dura che non parteciperò nemmeno alla commemorazione, mi fa stare troppo male. Proprio stamattina riguardavo fuori dove adesso c’è un muro di cartone: c’era un cancello dieci anni fa, cancello che dopo l’esplosione si sciolse come carta velina. E’ dura anche perché io conoscevo alcune vittime. A distanza di giorni mia moglie si svegliava nella notte e non mi trovava nel letto: andavo sempre al computer a rivedermi le foto e i video che avevo fatto con le persone che adesso non ci sono più. Mi consigliarono anche di andare da uno psicologo, ero distrutto. Sono quasi quarant’anni che faccio emergenza, le cose passano, ma questa proprio no. Se senti queste notizie al giornale sì, ti dispiace ma non ti rendi conto, puoi solo immaginarle. Quando ti colpiscono nel cuore è diverso. La mia città, i miei amici. Marco Piagentini, uno dei più tristemente celebri sopravvisuti, è un amico di famiglia: quando lo rivedo ho sempre il magone. Bastava poco per salvarli tutti, bastava poco per vederli ancora con la loro famiglia”.
In stazione, oltre ai vigili del fuoco, tra i primi ad intervenire anche i volontari della Misericordia di Viareggio: “Sono stato sempre una persona con un carattere forte – racconta Stefano – dopo trentacinque anni di ambulanza ne hai viste tante, ma trovarsi davanti gente bruciata che non sai nemmeno riconoscere è stata dura. Caos, adrenalina al massimo. Quella sera doveva essere molto tranquilla: io e il mio collega eravamo alla Cittadella del Carnevale ad assistere un saggio di danza. Tra bambini e genitori saranno state 500 persone. Adesso se ci penso mi dico che Viareggio quella sera è stata molto fortunata, poteva essere una strage per davvero fosse successo in un altro punto della città. Era appena finito il saggio quando andò via la corrente: strano, pensai, il cielo era completamente stellato, era una bella sera d’estate. Il problema non era sicuramente il tempo. Subito dopo vidi una colonna di fumo, pensai che avesse preso fuoco il negozio di gomme. Decidemmo di passare di lì con l’ambulanza, magari avevano bisogno di noi. Fu allora che mi squillò il telefono: dovevamo andare immediatamente in via Ponchielli. Siamo arrivati e fu una scena apocalittica: le persone in strada era completamente bruciate e riuscivano a mala pena a camminare. Ci siamo fermati e ne abbiamo soccorsi subito tre, due poi sono morti quasi subito”.
“Il riconoscimento non era facile, non sapevi chi avevi davanti. Erano sagome, era incredibile, lasciavano le impronte in terra mentre camminavano – racconta il volontario della Misericordia – Abbiamo fatto su e giù per l’ospedale tutta la notte. Fortunatamente il servizio ha funzionato bene, sono arrivate squadre da tutta la Toscana a darci una mano. Soccorrevamo le persone senza nemmeno sapere cosa fosse successo, i vigili del fuoco hanno visto le cisterne solo ore dopo. Siamo stati un po’ tutti a rischio, ma sinceramente in quelle situazioni te ne freghi, nemmeno ci pensi. Solo con le prime luci dell’alba, un po’ più calmi, ci siamo resi conto della gravità della situazione: è andata bene, se fosse scoppiata anche la seconda cisterna molto probabilmente saremmo morti anche noi. Abbiamo atteso anche l’estrazione di un bambino, il figlio del Piagentini, rimasto sotto le macerie. Il mio collega, quello che lo ha soccorso per primo, qualche giorno fa è stato premiato: è stata dura per il mio amico Massimiliano, dopo dieci anni è riuscito a scambiare due parole con il padre del bambino, prima non ne aveva mai avuto il coraggio. D’altronde ognuno ha il suo carattere, io fortunatamente ho reagito molto bene e sono soddisfatto del lavoro che abbiamo svolto. Nessun rimpianto, molti invece ne sono rimasti straziati”.
“Penso che abbiamo fatto tutto il possibile e forse anche di più, qualsiasi associazione presente quella sera in stazione. I colori non hanno importanza, abbiamo lavorato tutti molto bene. Noi della Misericordia siamo stati i primi ad arrivare ma eravamo davvero in tantissimi. Riuscire a salvare quel bambino poi mi riempie davvero di enorme gioia. Molti dopo quella sera hanno smesso di venire a fare i turni, io ho continuato tranquillamente a fare volontariato. Certo, quando la centrale ti chiama e ti dice ‘vai in via Ponchielli al numero tot’ la mente va subito lì ed è dura, ma sono felice. Molti si lamentano della sanità, ma quella sera ha funzionato tutto davvero bene. Quasi tutti volontari, mezzi autofinanziati dalle associazioni, e questo tanti lo dimenticano. Molti spesso ci mandano a quel paese quando mettiamo le sirene o quando tardiamo ad arrivare. Quella sera, come spesso accade, invece siamo stati veramente dei grandi”.