
Trenta anni. Pasquale Russo ha ucciso Vania con “crudeltà”, dopo averla a lungo perseguitata. Lo confermano i giudici della Cassazione che oggi (9 luglio) hanno emesso la sentenza su un delitto brutale, che risale all’agosto del 2016. Una mattina maledetta ai magazzini dell’ex ospedale del Campo di Marte, dove Vania Vannucchi fu aggredita da Pasquale Russo, con il quale aveva troncato una reazione. Una fine lenta, dopo ore d’agonia e un delitto che secondo i giudici della Cassazione, che hanno confermato la sentenza della Corte d’appello d’assise di Firenze non può avere sconti. E’ per questo che hanno riconosciuto anche le aggravanti della crudeltà e dello stalking, facendo cadere soltanto l’ipotesi della premeditazione. Poco cambia, a conti fatti. E quando l’avvocato Elena Liboni, poco prima delle 19, ha dato la notizia ai familiari dell’infermiera così barbaramente uccisa, hanno tirato tutti un sospiro. Non di sollievo, perché questi anni sono stati per tutti un vero calvario.
“Questa sentenza – commenta per loro l’avvocato Liboni che assisteva la famiglia – conferma che la Cassazione accoglie nel complesso l’impianto accusatorio, mantenendo la condanna ai 30 anni”. La sentenza di secondo grado era arrivata il 25 luglio di un anno fa e anche in Corte d’appello la sentenza era stata lapidaria: 30 anni di reclusione con accoglimento in toto la precedente sentenza che prevede anche il risarcimento delle parti civili e tutte le spese processuali. Ai genitori e ai figli della vittima sono stati riconosciuti 250mila euro ciascuno, mentre all’ex marito 170mila.
Vania Vannucchi aveva lottato fino all’ultimo con tutte le sue forze, quella maledetta mattina di agosto del 2016, ma aveva perso la sua battaglia più importante, purtroppo, contro quella violenza assurda, improvvisa e cieca di quell’uomo che non riusciva ad accettare il suo rifiuto: l’ex collega Pasquale Russo, con il quale la donna aveva avuto una relazione, nella mattina del 2 agosto l’aveva aggredita dopo averla incontrata ai magazzini dell’ex Campo di Marte. Qui, del resto, aveva conosciuto l’ex barelliera assunta poi come operatrice socio sanitaria all’ospedale Cisanello di Pisa. Proprio a Cisanello, il giorno dopo la brutale aggressione, vicino alle colleghe che non l’hanno lasciata sola un attimo, Vania, 46 anni di Lucca, figlia dell’ex massaggiatore della Lucchese, Alvaro Vannucchi, era morta, dopo essere stata ricoverata in gravissime condizioni al centro grandi ustionati. Quasi dopo 24 ore d’agonia. Disperate fin dall’inizio le sue condizioni: l’uomo l’aveva prima cosparsa di benzina e poi le aveva dato fuoco. Le fiamme l’avevano avvolta provocandole ustioni sul 90% del corpo.
Il dramma si era consumato attorno alle 13 del 2 agosto: la raccapricciante scena del delitto era stato ripresa, parzialmente, da una telecamera di videosorveglianza. I due, secondo quanto era stato ricostruito allora dalla squadra mobile, si erano incontrati in un piazzale vicino all’obitorio sul retro dei magazzini dell’ex ospedale, ma era scoppiato subito un violento litigio. Russo, che non si dava pace per la fine della relazione, aveva perso la testa dopo il nuovo rifiuto della donna, che si sentiva ormai perseguitata tanto da confessare le sue angosce alle amiche. Lui le era entrato in casa, aveva ricostruito la polizia, di notte, mentre dormiva, rubandole il cellulare. Quella era stata la scusa per incontrarla di nuovo. Un’ultima volta.
Vania aveva accettato. Pensava che in quel modo avrebbe chiuso definitivamente con Pasquale. Ma si sbagliava. Dopo la discussione nel piazzale, si era allontanata in direzione della sua auto, una Fiat 500. Ma il suo carnefice, per l’accusa, l’aveva aggredita alle spalle, l’aveva girata con la forza, cosparsa di benzina e dato fuoco. Un femminicidio tra i più brutali degli ultimi anni. I soccorritori del 118 avevano prestato le prime disperate cure sul posto, sedando Vania, per alleviare il più possibile il dolore, lancinante. “Avvisate la mia famiglia, chiamate il mio babbo”, aveva detto con un filo di voce l’infermiera prima di pronunciare il nome del suo aggressore: “Pasquale, è stato Pasquale”, aveva detto. La polizia aveva chiuso in breve il cerchio sulle indagini, ricostruendo il delitto a ritroso, dagli episodi che lo avevano scatenato fino al tragico epilogo. Erano emersi così particolari di molestie e persecuzioni che avrebbe subito la donna nel periodo precedente all’omicidio sempre da parte di Pasquale Russo, che dopo averla lasciata una prima volta, non accettava di essere stato respinto dalla donna. Il sonno della ragione genera mostri e i mostri compiono inevitabilmente mostruosità.
Rob. Sal.