
E’ un primato che non sorprende del tutto, ma che, comunque la si veda, fa riflettere e getta luce su un sottobosco, forse difficilmente percettibile dai più ma che, secondo gli inquirenti, sarebbe piuttosto radicato. Questo almeno quello che emerge dalla seconda relazione della Dia (direzione investigativa antimafia) che chiude il report annuale sul 2018 per quanto riguarda le organizzazioni criminali che operano sull’intero territorio nazionale e le loro attività. Un dossier di oltre 500 pagine che fotografa la situazione attuale rispetto a tutte le mafie, italiane e straniere. La provincia di Lucca, in questo quadro che cerca di fotografare i tentacoli della malavita sul tessuto sociale ed economico, risulta essere al primo posto rispetto alle altre province toscane in materia di beni sequestrati ai fini di confisca per reati di tipo associativo.
Un dato che per la provincia di Lucca è significativo soprattutto guardando alla riviera. E’ la Versilia che secondo la Dia continuerebbe ad essere “terreno di caccia” per pusher, di diversa appartenenza, in azione congiunta sul territorio per spartirsi i ricchi proventi delle attività di spaccio. Tavolta una maglia troppo larga in cui è facile per i clan infiltrarsi. Pur non essendo annoverata tra le aree a tradizionale presenza mafiosa, la Toscana, infatti, costituisce, sempre stando a quanto emerge dalla relazione della Dia, un potenziale territorio di espansione per le mire criminali, dove reinvestire i capitali di provenienza illecita. “A fronte della scarsa ricorrenza di manifestazioni cruente, in questo ambito territoriale emerge l’elevata capacità della criminalità organizzata ad agire sottotraccia, favorita, se del caso, dal supporto di qualificati professionisti locali, quali imprenditori, ma anche notai e commercialisti”. L’analisi della Dia ha restituito segnali anche di una consolidata presenza di gruppi criminali stranieri, cinesi in particolare ma anche albanesi, romeni e centro/nordafricani, che operano, con metodologia assimilabile a quella delle organizzazioni italiane di stampo mafioso, a volte in collaborazione con soggetti criminali di nazionalità italiana (cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita). “Altri elementi di valutazione possono essere estrapolati dalla lettura dei dati, riferiti alla Toscana, resi noti dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – si legge -. Allo stato attuale, sono in corso le procedure per la gestione di ben 367 immobili confiscati, mentre altri 135 sono già stati destinati. Risultano, inoltre in corso le procedure per la gestione di 50 aziende, mentre 2 sono state già destinate1096. Alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all’ingrosso, costruzioni, attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville, fabbricati industriali, negozi, sono solo alcune tra le tipologie di beni sottratti alle mafie in Toscana, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Lucca, Arezzo, Pisa, Livorno, Pistoia, Prato, Firenze, Siena, Massa Carrara e Grosseto. A Firenze e nel resto della Toscana, i sodalizi calabresi poi hanno consolidato particolarmente la tendenza a diversificare gli investimenti, dimostrando attitudini imprenditoriali in diversi settori, oltre alla capacità di adattamento ai variegati contesti socio-economici, anche mediante condotte collusive. È verosimile ritenere che elementi contigui alle famiglie ‘ndranghetiste possano facilmente riuscire ad inserirsi in società commerciali e finanziarie, grazie alla disponibilità di consistenti capitali illeciti”. La riprova di questa tendenza è data sia dall’attività di aggressione ai patrimoni svolta nel semestre dalla Dia, sia dai provvedimenti interdittivi antimafia adottati dalle Prefetture toscane. Le proiezioni criminali di matrice camorristica nella regione risultano distribuite in maniera eterogenea sul territorio, con maggiore concentrazione sulla fascia costiera, in particolare nelle province di Grosseto (nell’alta Maremma) e di Lucca (in Versilia), con la presenza di soggetti legati al clan dei casalesi nonché nella provincia di Prato. “La criminalità cinese continua a rappresentare il fenomeno più pervasivo sia per la particolare compattezza della comunità, che per la capacità di penetrare il tessuto economico regionale, specialmente nella filiera del tessile abbigliamento, che da Prato si estende nelle due province limitrofe di Firenze (con particolare riferimento al Comune di Sesto Fiorentino e all’area produttiva dell’Osmannoro) e Pistoia. Indagini recenti hanno, peraltro, evidenziato proficue forme di collaborazione multietnica tese proprio ad organizzare traffici di droga. La criminalità organizzata albanese continua a ricavare importanti proventi illeciti anche dallo sfruttamento della prostituzione, attuata in forma organizzata, talvolta in collaborazione con organizzazioni romene o nigeriane, spesso riducendo le donne in condizione di schiavitù. La presenza in Toscana di soggetti provenienti dal centro/nord Africa è ormai radicata da anni. Nel semestre in esame è stata confermata l’operatività di elementi appartenenti ad organizzazioni criminali di origine sia maghrebina (provenienti dal Marocco1126, dalla Tunisia, dall’Algeria) che nigeriana nello spaccio di sostanze stupefacenti e nello sfruttamento della prostituzione. Proprio i soggetti di origine nigeriana risultano particolarmente attivi nello smercio degli stupefacenti nel capoluogo toscano e nel pistoiese. La Toscana continua a essere un polo di attrazione anche per i gruppi etnici provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare ucraini, moldavi e georgiani, che risultano attivi prevalentemente nella commissione di reati di natura predatoria”. Una situazione preoccupante e allarmante che certamente animerà il dibattito a vari livelli istituzionali sia locali sia regionali.
Vincenzo Brunelli