Odissea al pronto soccorso: “Poca professionalità”

15 agosto 2019 | 08:05
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Odissea al pronto soccorso: “Poca professionalità”

Un’altra odissea in pronto soccorso al San Luca. Stavolta a raccontarla però è una operatrice del settore, una infermiera che lavora in un altro nosocomio. Che accompagnando il marito al triade per febbre alta resistente si è trovata di fronte a contatto con una gestione che critica duramente. Il tutto dopo aver scritto una lettera all’Urp dell’Asl il giorno dopo senza ricevere ancora una risposta.

Non tanto per i tempi (12 ore trascorse al pronto soccorso) ma per la gestione del marito. I fatti risalgono a domenica scorsa (11 agosto): “Ho visto una situazione surreale – racconta l’infermiera che ha chiesto, per ovvi motivi, di rimanere anonima -. Mio marito dalla notte ha avuto febbre alta resistente a ibuprofene e paracetamolo. Alle 12,30 abbiamo deciso di chiamare l’ambulanza visto il quadro di malessere generale (forti dolori alle gambe) e impossibilità di alzarsi dal letto autonomamente. Al triage a mio marito viene dato codice 3 con urgenza differibile. Parametri stabili a parte la temperatura corporea (39 gradi), nonostante il brufen delle 10 e la tachipirina delle 12. Viene posizionato un accesso venoso periferico e somministrato urbason 20 mg (gli esami del sangue verranno prelevati in visita alle 16 circa). Viene affidato in attesa di visita medica nei gabbiotti con altri malati. E qui noto una cosa veramente agghiacciante: nonostante le postazioni delle barelle siano dotate di apposito dispositivo di chiamata nessun malato ha il campanello vicino a sé. Nessun operatore spiega ai malati che in caso di necessità hanno questo dispositivo di chiamata. Ho visto malati non autosufficienti, tanti soli, che nel momento del bisogno urlavano ai professionisti per avere attenzione, per cercare qualcuno per soddisfare un bisogno. Qui si tratta di abbandono di incapaci. E in quanto infermiera mi sento il dovere di assumere una posizione di garanzia verso quei cittadini che sono stati letteralmente abbandonati su una barella. In particolare il turno del pomeriggio è stato maleducato, e poco professionale. Dalle 12,45 (momento del triage) fino alla visita non è stata rilevata la temperatura nonostante nostra esplicita richiesta. Altro episodio altrettanto grave riguarda una Oss. La sorella di mio marito ha chiesto alla accettazione di entrare per portare un cambio che le avevo richiesto. Mentre mi consegnava il sacchetto con tutto il materiale (biancheria intima e maglietta in quanto la febbre era scesa e mio marito era sudato) un operatore passa urlando e dicendo letteralmente così ’lei deve uscire, mi si chiude la vena’ sono rimasta senza parole. Dispiaciuta, amareggiata, mi sono sentita sconfitta come professionista – aggiunge l’infermiera -. Perché non è così che si lavora. Ma la passione, la voglia di fare bene, l’educazione sono valori che lì dentro quasi nessuno ha. Solo un’infermiera giovane è stata all’altezza e professionale: lei è stata veramente carina nei modi e professionale. Faccio presente inoltre che i tempi sono stati veramente troppo lunghi. Mio marito è stato dimesso alle 24 circa. Anche se capisco che questo aspetto sia anche legato alle urgenze impreviste. Con molto dispiacere devo descrivere una situazione dove il paziente non è al centro del sistema e dove la maggior parte dei professionisti lavora per arrivare al 27 del mese e non per passione e amore e spirito di squadra”.