
L’agenzia investigativa Falco al lavoro: “La condanna del marito non regge”
Arriva un nuovo incarico sulla scrivania dell’investigatore privato Davide Cannella, direttore dell’agenzia Falco di Lucca, specializzata in cold case e revisioni processuali. Riguarda la morte di Elena Ceste.
Un caso di cronaca nera che ha avuto risonanza nazionale e di cui si sono occupate le più importanti testate giornalistiche e televisive. Tutto ha inizio la mattina del 24 gennaio 2014: Elena Ceste, 37 anni, madre di tre figli, sparisce da casa senza alcun motivo apparente. Il marito, Michele Buoninconti, rinviene nel giardino della villetta in cui vive la famiglia, gli indumenti della moglie (anche la biancheria intima) e ne denuncia la scomparsa ai carabinieri, la donna è sparita mentre lui stava accompagnando i bambini a scuola.
Le forze dell’ordine si mettono subito in moto, si ipotizza un allontanamento volontario, forse un suicidio, ma sottovoce si indaga anche per la possibilità che si tratti di omicidio. Le frenetiche ricerche di Elena non danno i risultati sperati, alcune segnalazioni la vedono addirittura all’estero, ma la realtà è ben più tragica e molto più vicina. Il 18 ottobre 2014 durante dei lavori ad un canale che dista 800 metri dall’abitazione di Elena, riaffiora un cadavere. Sono passati quasi nove mesi dalla sua scomparsa, non ci sono dubbi, il corpo rinvenuto è quello di Elena Ceste.
La perizia medico legale non riesce a chiarire le cause della morte, la condizione del cadavere sono troppo compromesse per avere delle certezze. La procura però ha le idee chiare: si tratta di omicidio e ad averlo compiuto non può che essere stato il marito. Il quadro accusatorio si muove arricchendosi di intercettazione telefoniche, ipotesi, testimonianze e tradimenti. Si scava nel passato della coppia e vengono a galla delle relazioni extraconiugali di Elena con altri uomini.
Sta lì il movente secondo il pubblico ministero Laura Deodato: Michele Buoninconti ha ucciso la propria moglie per gelosia e ha cercato di farla franca nascondendo il corpo, siamo di fronte ad uno dei più tremendi e spietati femminicidi.
Il quadro accusatorio regge per tutti i gradi del processo, gli ermellini per ultimi respingono il ricorso della difesa e confermano la condanna a 30 anni (a seguito di sconto di pena per richiesta di rito abbreviato) di Michele Buoninconti.
“Si tratta di una condanna maturata all’interno di un processo indiziario – spiega il direttore della Falco investigazione di Lucca, Davide Cannella – Il presunto reo viene condannato a seguito del libero convincimento dei giudici. Non vi sono prove scientifiche a carico dell’imputato che ne confermano la responsabilità, si tratta di una situazione molto strana oggi giorno e di solito il principio seguito in questi casi è in dubio pro reo”.
Come è giunto all’attenzione della Falco investigazione questo caso?
“Alcuni famigliari della marito di Elena ci hanno contattato e sottoposto il caso, ho studiato le carte e mi sono accorto che nonostante la condanna non è stata evidenziata alcuna prova che il Buoninconti abbia ucciso la moglie. Il quadro accusatorio presenta alcune lacune e delle forzature nella ricostruzione del comportamento del mio assistito, fino ad arrivare a dei fraintendimenti nei dialoghi delle intercettazioni. Proprio per sentire dalle sue labbra la versione dei fatti, a settembre ho fatto visita al Buoninconti nel carcere di Alghero. La detenzione l’ha provato molto ma soprattutto sente la mancanza dei figli, sui quali ha perso la patria potestà. Non può contattarli e non può vederli e questa condizione lo fa soffrire più della stessa detenzione. Grida dalla cella la sua innocenza, sicuro di essere vittima di un grave errore giudiziario”.
La condanna per il femminicidio di Elena è quindi un errore giudiziario?
“Gli elementi ci sono tutti. Spicca la totale mancanza di prove scientifiche ed oggettive, ne un testimone, ne una parziale ammissione di responsabilità, neppure le intercettazioni sono state sufficienti ad inchiodarlo. Anche le più classiche risposte come la causa della morte, non vengono soddisfatte dalle analisi necroscopiche, ad oggi non sappiamo come Elena sia morta. Non si è a conoscenza di evidenze che possano stabilire le modalità di un omicidio, non vi sono fratture nelle ossa del cranio, ne lesioni suoi tessuti molli. Si giunge a determinare che sia avvenuto un delitto solo attraverso delle ipotesi, ma queste non sono supportate da elementi certi”.
Forse però è stato tralasciato qualcosa?
“Stiamo lavorando io e il dottor Eugenio D’Orio, biologo e genetista forense, su un’ipotesi alternativa mai stata presa in considerazione dagli inquirenti”.
Può dirci qualcosa in più?
“Allo stato attuale non mi è consentito in quanto le indagini sono ancora in corso e la divulgazione potrebbe condizionarne il buon esito”.