Coppia lucchese bloccata in Myanmar: “Vogliamo tornare in Italia o che sia garantita la nostra sicurezza”

29 marzo 2020 | 21:39
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Coppia lucchese bloccata in Myanmar: “Vogliamo tornare in Italia o che sia garantita la nostra sicurezza”

Federico e la compagna Katrina cercano soluzioni dal 14 marzo scorso: “Iniziamo ad avere paura”

Dopo il caso delle due ragazze bloccate in Laos per l’emergenza coronavirus ne emerge un altro. Stavolta è una coppia che non riesce a rientrare a Lucca dal Myanmar, nonostante già dal 14 marzo abbiamo interessato le autorità competenti.

Finito l’incubo per le due ragazze bloccate nel Laos. Un volo le ha riportate in Europa

“Stiamo combattendo tutti una guerra – dicono Federico Moretti e la sua compagna Katrina Purugganan –  Ma noi ci sentiamo prigionieri di un altro stato. Non possiamo tornare a casa mentre qua in Myanmar la situazione peggiora giorno dopo giorno“.

“Sono due settimane – spiegano – che con tutte le nostre forze cerchiamo un modo per rimpatriare. Abbiamo chiesto aiuto alle ambasciate italiane qui in Birmania e Thailandia senza trovare una soluzione. Abbiamo girato aeroporti, ospedali, uffici d’immigrazione, cliniche private per riuscire a passare le frontiere. Ogni giorno sempre più ristoranti e hotel decidono di chiudere le porte. Ci sono italiani che vengono invitati ad andarsene dalle strutture. La polizia gira con i megafoni e dice parole che non riusciamo a capire ma che generano sempre più ansia dentro di noi. Il panico tra le persone cresce sempre di più e sentiamo il cerchio stringersi intorno a noi”.

L’ambasciata ha chiuso le porte – dicono Federico e Katrina –  Ci rispondono solo alle mail e alle chiamate. Ci chiedono di avere pazienza ma è un lusso che non possiamo più permetterci. Iniziamo ad avere paura. Chiediamo aiuto a chi ce lo può dare, sperando che la Farnesina e l’ambasciata facciano qualcosa il prima possibile”.

Del gruppo fanno parte anche altri italiani: “Siamo in viaggio da gennaio – dicono ancora – chi per lavoro, chi per volontariato dando una mano ai bambini nelle scuole. Vogliamo tornare a casa ma se proprio non è possibile chiediamo almeno che venga garantita la nostra sicurezza personale. Speriamo che questo messaggio arrivi a più persone possibile”.