Dalla terapia intensiva alla guarigione dal coronavirus, Massimiliano racconta la sua storia: “C’è gente che non vuole avere contatti con me”

I ringraziamenti ai medici e agli infermieri del San Luca e la diffidenza delle persone dopo il ritorno a casa: “Persi 12 chili, dopo un mese dalle dimissioni mi sento ancora debole”
Massimiliano Artesi è riuscito a vincere la sua battaglia personale contro il Covid19. Attualmente è negativo al virus e le sue condizioni fisiche migliorano di giorno in giorno. Eppure al ritorno alla sua normale vita si è sentito in dovere di denunciare alcuni episodi di discriminazione che ha subito.
“C’è in giro tanta diffidenza – dice Massimiliano – Ho saputo di infermiere arrivate in città da fuori regione, come supporto nei nostri ospedali, che hanno avuto molte difficoltà nel trovare un alloggio in affitto, perché le persone hanno paura di venire contagiate. A mia volta sono stato anch’io oggetto di discriminazioni. Mi è stato riferito da amici, che alcune persone non volevano avere alcun genere di contatto con me perché sono stato malato. Possibile che ci sia in giro così tanta ignoranza? Dovrei avere più paura io di loro, che non so se sono positive o meno, che loro di me”.
“Non bisogna creare allarmismo inutile, e soprattutto non bisogna vergognarsi di aver avuto il Covid – spiega – Anche altre persone conosciute in ospedale e che ora sono completamente guarite e negativizzate, mi hanno riferito che in tanti hanno preso le distanze e qualcuno ha anche affermato che non vuole avere a che fare con persone contagiate”.
“È una paura irrazionale che non bisogna avere, nessuno di noi ha preso questa malattia per volontà e non è giusto non volerle avvicinare adesso che sono guarite – prosegue – Non voglio dire i contesti in cui ho subito queste discriminazioni, non lo considero corretto, ma dopo che mi è stato riferito penso che chissà quante persone ci potrebbero essere che parlano dietro le mie spalle e la pensano come loro. Sono sicuro della grande umanità che risiede negli esseri umani, penso ancora che siano la maggior parte. Questi casi di discriminazione non sono però casi isolati, posso capire la paura, ma queste persone hanno bisogno di calore, di vicinanza e umanità per tutto quello che hanno e abbiamo subito”.
Massimiliano racconta la sua esperienza e la sua lotta contro il Covid19.
“Mi sono ammalato i primi giorni di marzo, avevo una febbre alta che si aggirava intorno ai 39-39,5 di temperatura, senza altri sintomi. Ho avvertito il mio medico curante che mi ha detto che se non avevo tosse non poteva essere Covid, dello stesso parere erano i medici dell’ospedale. La febbre però saliva e stavo sempre più male, ad un certo punto ho avvertito dolori al petto”.
Il 13 marzo Massimiliano avverte l’ospedale dei sintomi ed è trasportato al pronto soccorso dove gli viene fatto l’rx toracico, la mattina viene dimesso perché secondo i medici può curarsi a casa. L’rx evidenzia però una polmonite interstiziale, Massimiliano si sente nuovamente male e questa volta viene ricoverato nel reparto di malattie infettive.
“Non colpevolizzo i medici che mi hanno rimandato a casa, erano ancora impreparati a ciò che da lì a poco sarebbe successo e sono gli stessi medici che mi hanno salvato la vita”. Durante la degenza al reparto di malattie infettive vengono provate alcune terapie ma il suo corpo non reagisce bene, viene spostato a terapia intensiva, assistito da macchine a ventilazione meccanica non invasiva (Niv). Il reparto è al completo assieme a Massimiliano ci sono 27 pazienti.
“A malattie infettive ho incontrato delle grandissime persone a cui va tutto il mio riconoscimento, specialmente alle infermiere che affrontano veramente in prima linea il virus, curano i malati, li lavano, rifanno i letti, portano da mangiare, il tutto a loro rischio e pericolo. Per svolgere questo lavoro bisogna avere una grande umanità”.
Attaccato al Niv Massimiliano viene sedato con la morfina, viene addormentato, ma appena sveglio non vuole più dormire, il suo corpo è addormentato ma è vigile, vede tutto ciò che accade intorno a lui.
Si rende conto che molte persone ricoverate sono anche in situazioni più gravi delle sue: “Sono arrivato ad un punto in cui ho avuto il timore di non farcela, con le mascherina dell’ossigeno andavo spesso in apnea e avevo la sensazione di affogare, come in una piscina che vai sempre più giù in profondità e hai paura di non riuscire a risalire”.
Con la somministrazione del medicinale Tocilizumab, utilizzato nelle terapie per la cura di artrite reumatoide, il corpo di Massimiliano reagisce e anche grazie alla sua forza di volontà le condizioni migliorano. “Dopo molti anni in cui ho sempre cercato di dare il massimo in quello che facevo, sia nel lavoro che nella vita, mi sono ritrovato ad aver paura di perdere la battaglia più importante. Poi mi sono detto che a casa ho una moglie e un figlio di sedici anni che mi aspettano e questo pensiero mi ha dato la forza di reagire e di vincere finalmente la malattia”.
Ma il suo calvario è sempre lungo, Massimiliano viene spostato al reparto di terapia subintensiva e poi in day surgery, perché non vi sono letti disponibili a malattie infettive. A fine marzo gli viene fatto il primo tampone per controllare se è ancora positivo al virus. “Mi hanno fatto il tampone la mattina prestissimo, i risultati sono arrivati dopo 24 ore ed è risultato negativo. Quando la dottoressa Buongiorni mi ha confermato il risultato ero contentissimo”.
La negativizzazione è confermata da un secondo tampone e anche l’ossigenazione nel sangue è nella norma, il 31 marzo alle 19,30 Massimiliano è dimesso dall’ospedale.
“Al ritorno a casa tutto il quartiere di san Filippo, dove abito, ha voluto accogliermi con gli applausi. Ho sentito proprio la loro vicinanza e mi ha riempito di gioia, ho fatto anche un grande cartello per ringraziarli”.
Massimiliano dopo le dimissioni è rimasto in quarantena domiciliare per 15 giorni. “In casa ho tenuto un isolamento anche dagli altri membri della mia famiglia, non potevo abbracciarli e non potevo avere con loro dei contatti stretti”.
Alla conclusione della quarantena finalmente può festeggiare la sua completa guarigione. “Ho passato la migliore Pasqua della mia vita. Ero solito andare in vacanza in quei giorni, stavolta sono stato in casa con la famiglia. Con tutto quello che ho subito ho riscoperto la gioia della vita, poter dire di essere vivo è la gioia più bella del mondo”.
Ma il virus ha comunque debilitato il suo corpo, ha perso ben dodici chili, i primi giorni parla a fatica, non riesce a camminare e non si regge in piedi. In questo mese Massimiliano sta riacquistando le condizioni fisiche, cresce l’appetito, perché la malattia provoca la perdita di gusto e olfatto, da una settimana ha ricominciato a fare attività motoria: “Ho provato a correre oggi pomeriggio (ieri, 7 marzo, ), ma ancora mi sento troppo debole.”
“Dall’ospedale ho ricevuto alcune telefonate per delle future visite – spiega Massimiliano Artesi – Sono necessarie per constatare le condizioni in cui le terapie mi hanno ridotto il fegato e controllare se ci saranno danni permanenti. Secondo il parere dei medici dovrei ristabilirmi completamente”.
“Certe volte ho letto critiche verso i medici e il San Luca, ma le persone non sanno di cosa stanno parlando, questi medici hanno salvato molte persone e in una situazione di emergenza l’ospedale si è dimostrato all’altezza. Tutti gli operatori lo sono stati”
Massimiliano ha donato il proprio plasma negli ultimi giorni di marzo, è stato uno dei primi casi di guariti che si è volontariamente sottoposto per la sperimentazione di questa terapia e il suo fascicolo è stato spedito all’Università di Pisa per lo studio del Covid19.
“Ho sentito dire che il plasma dei malati attualmente sta aiutando molte persone e spero che la cosa funzioni perché è sicuramente una terapia meno invasiva rispetto a quelle che mi hanno somministrato. Tengo a dire che anche mia moglie si vuole sottoporre alla donazione del plasma – conclude Massimiliano – Perché anche lei è risultata positiva al coronavirus. Per fortuna a lei si è manifestato solo con qualche linea di febbre a 37-37,5 durata per pochi giorni. Voglio inoltre ricordare che, a parte mia moglie con cui avevo contatti stretti, nessuna delle persone che ho visto prima che mi diagnosticassero la malattia è risultata positiva al Covid, nemmeno mio figlio con il quale abito”.