Violenze sulle donne a Lucca, casi aumentati durante il lockdown: da marzo altre 9 nelle case rifugio

L’associazione La Luna: “C’è stato un silenzio che celeva un preoccupante aumento di abusi”. E chi si occupa di dare assistenza ora è in crescente difficoltà anche a causa del covid
Un giovedì sera in centro, la voglia di trascorrere qualche ora in compagnia. Ma sulla strada del ritorno, i soliti incontri: “Verso l’1,30 di ieri notte mi sono avviata con un’amica da via Calderia verso il ‘pastaro’ in piazza Santa Maria, passando per piazza della Misericordia, il liceo classico e piazza san Frediano. Ma durante il cammino, diversi gruppi di persone di sesso maschile ci hanno molestato verbalmente – racconta Chiara(nome di fantasia), 24 anni -. Non offese pesanti, tuttavia domande tipo ‘cosa fai stasera?’ o ‘come ti chiami?’ espresse con sfrontatezza e prepotenza”, spiega la ragazza.
“Ho vissuto la maggior parte della mia vita a Lucca, per cui posso dire di conoscere abbastanza bene la sua vita notturna e purtroppo mi sono abituata a questo genere di affermazioni, e a non rispondere soprattutto per paura. Ma è giusto per noi ragazze abituarsi a cambiare strada per colpa di uomini molesti? O ad abbassare la testa, per timore di incrociarne lo sguardo?” si chiede Chiara.
“La risposta è no. È una forma di violenza sulle donne – spiega Daniela Caselli, counselor e presidente del centro antiviolenza La Luna onlus, da 21 anni attivo sul territorio lucchese -. Ogni tipo di violenza, compresa quella di genere, ha origine dalla nostra cultura maschilista e patriarcale. L’uomo considera la donna una sua proprietà, sentendosi in diritto di dirle o farle ciò che vuole: tuttavia, a seconda della formulazione, del contesto e di molte altre variabili, una domanda o un ‘apprezzamento’ per strada può far piacere come imbarazzare, mettere in soggezione o trasmettere un senso di insicurezza. Fino, a volte, a far scegliere alla donna di cambiare strada: un episodio che rientra in una forma di violenza cosiddetta ’psicologica’” dice la Caselli.
Può infatti assumere differenti manifestazioni, dalla fisica, alla economica, dalla sessuale allo stalking, ma la violenza femminile più diffusa è quella psicologica: “E anche la più difficile da riconoscere da parte delle vittime – spiega Daniela – perché annienta l’autostima. Le donne vengono da noi chiedendoci ‘sono davvero una perfetta incapace?’ come si arriva a far loro credere. Infatti, all’uomo bisogna riconoscere una dote unica, qualsiasi sia la sua estrazione sociale o il livello culturale: sa dove andare a colpire. Sa esattamente, come nel pugilato, dove fa più male perché conosce bene i punti fragili della compagna e ci si infila dentro, girando il coltello nella piaga – continua la presidente -. Come ci riesce? È un ottimo manipolatore, quasi sempre una personalità narcisista che considera sé stessa tutto, e gli altri niente. Mette in atto un processo sottile che mina alle radici della persona, spesso preparando il terreno alla violenza fisica e convincendo la donna di meritarsi le percosse – spiega la Caselli-. La si accusa di non essere una buona madre e moglie, di aver parlato troppo o essersi comportata ‘male’: qualsiasi pretesto è valido per scagliarsi contro di lei. Molti sono anche i casi di violenza economica – continua Daniela -che può portare fino alla perdita del lavoro e all’accumulo di enormi debiti. Infine, c’è l’abuso sessuale e lo stalking, molto aggressivo ma facilmente riconoscibile. In genere perpetuato da ex che non vivono più insieme alla compagna, quindi più gestibile da parte della nostra associazione”.
Nata nel 1999, l’associazione Luna accoglie ogni anno circa 300 donne, spesso accompagnate da minori a loro volta abusati. Madri e figli vittime di una violenza che attraversa la società in modo trasversale, senza distinzioni di professione, ricchezza, cultura, età e istruzione: “Coinvolge tutte e tutti: sia ricchi che poveri, sia istruiti che ignoranti. Dalla docente universitaria alla casalinga. Abbiamo avuto anche donne dirigenti di banca, quindi molto affermate: la violenza sulle donne è democratica, e molto diffusa sul nostro territorio-afferma la Caselli-Tuttavia fino a poco tempo fa, come in tutta Italia anche a Lucca non c’era la consapevolezza del problema. Si pensava che nella nostra città la violenza sulle donne non ci fosse, negandone letteralmente l’esistenza. Ma dal 2009 al 2012-continua la presidente-sono accaduti diversi femminicidi: un totale di 13, fra cui l’ultimo di Alessandra Biagi di cui è ora il decennale, poi Vanessa Simonini di Gallicano e Vania Vannucchi, che come Vanessa seguivamo noi. Vania è stata bruciata viva. Dopo la sua morte-racconta la Caselli- c’è stata una presa di coscienza collettiva del problema, confermato dai nostri numeri: più di 300 casi ogni anno seguiti dal nostro centro, di cui circa 24 donne e 35 bambini collocati nelle nostre case rifugio. Sono tanti, in un territorio come Lucca e piana. Tantissimi”.
Numeri tuttavia aumentati durante l’emergenza sanitaria. “All’inizio del lock down abbiamo assistito a una controtendenza in tutta la Toscana, ad eccezione di un centro a Pisa: è stato un momento di silenzio, quasi come se le violenze fossero cessate – racconta la Caselli – perché qui al centro di telefonate non ne arrivavano più. Ma la verità era ben diversa: con la convivenza forzata, il pericolo è invece aumentato. Così come ogni anno aumenta ad agosto durante le ferie estive, e a dicembre durante le feste natalizie: quando cioè le coppie stanno fisse insieme, ed è più complicato per le donne e per noi agire-continua Daniela-Perciò da marzo a maggio, senza la libertà di uscire e fare una telefonata, o incontrare altre persone, la situazione si è veramente complicata: sia a livello regionale che nazionale è stato potenziato il numero 15 22-numero verde contro la violenza sulle donne-e il centro Luna ha mantenuto una reperibilità telefonica di 24 ore su 24. Dopo il primo momento di silenzio, le chiamate sono riprese a un ritmo molto più elevato del normale”.
Ma durante il lockdown, il lavoro non si è mai fermato nemmeno nelle case rifugio. “Si è dovuto introdurre nuove strutture per via della quarantena cui le donne, una volta eseguito il tampone, si sono sottoposte: da marzo a maggio abbiamo raggiunto un totale di 9 ingressi – continua la presidente -. Numeri elevati, rispetto a cui le risorse a disposizione dell’associazione risultano scarse. Usufruiamo di soldi del ministero, elargiti alla regione che li distribuisce ai vari centri toscani. Quest’anno, il contributo per le case rifugio è di 16.000 euro, cifra con cui noi ci copriamo gli affitti e le utenze forse solo per una casa. E ne abbiamo cinque”, osserva la Caselli.
“Se finora siamo riusciti ad andare avanti, è anche grazie alle donazioni – continua Daniela -. In particolare il 5 per mille: un gesto di generosità estremamente significativo per la nostra associazione, e totalmente gratuito per i cittadini. Ricordo inoltre con riconoscenza la donazione dello scorso anno dai Lions Le Mura che ha permesso di comprare i mobili per una cameretta, e una lavatrice. Ma ricordo anche diversi eventi e spettacoli da noi organizzati per accumulare delle risorse. Iniziative impossibili da ripetere quest’anno, a causa del covid-Per far fronte all’emergenza economico-sanitaria il ministero delle pari opportunità ci ha messo a disposizione, su rendicontazione, dei soldi per il materiale della sanificazione, così come a molte altre attività: ma niente di specifico per aiutare i centri antiviolenza, il cui lavoro si è triplicato proprio in questo periodo – osserva -. A parte un rimborso in caso di nuove assunzioni: ma come avremmo mai potuto assumere nuovo personale, se abbiamo mandato a casa in cassa integrazione parte di quello che già abbiamo, a partita iva?”.