Inchiesta sull’urbanistica, Cassazione respinge ricorso contro assoluzioni

23 luglio 2020 | 18:11
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Inchiesta sull’urbanistica, Cassazione respinge ricorso contro assoluzioni

Ultimo capitolo dell’indagine che aveva coinvolto l’ex presidente della Valore, Valentini, e il dirigente comunale, Tani

Inammissibilità totale. Con questa motivazione la Cassazione ha respinto il ricorso della procura generale nei confronti della sentenza della Corte di Appello che nel 2019 aveva assolto, nell’ambito del processo scattato dall’indagine sull’urbanistica Volpe nel Deserto, l’architetto Giovanni Valentini, ex presidente della società Valore, il dirigente comunale Maurizio Tani, i professionisti Andrea Ferro e Antonio Ruggi e l’ex vicepresidente di Sistema Ambiente Sauro Doroni.

Si è chiuso così definitivamente l’ultimo capitolo di un lungo iter giudiziario che era partito da un’indagine della procura di Lucca che nel 2011 aveva travolto l’allora assessore all’urbanistica Marco Chiari, uscito assolto da ogni accusa.

L’indagine i carabinieri del nucleo investigativo di Cortile degli Svizzeri impegnati in mesi di intercettazioni telefoniche e indagini sui movimenti dei vari indagati e sullo scenario urbanistico lucchese, che ruotava intorno al progetto attuativo, prevalentemente per la realizzazione di edifici a vocazione direzionale e commerciale che era stato inserito nel regolamento urbanistico di Lucca e che quindi sarebbe dovuto sorgere in viale Einaudi.

Un’indagine articolata che aveva prodotto centinaia di pagine di conversazioni e dove proprio da una battuta dell’ex assessore Marco Chiari era stato dato il nome all’operazione ovvero Volpe nel deserto. Indagini che alla fine dei fatti non erano riuscite comunque a giustificare le misure restrittive scattate all’alba di un giorno del maggio 2012, a pochi mesi dalle elezioni amminsitrative di Lucca, quando i carabinieri si presentarono alla porta di Marco Chiari e Maurizio Tani per notificare le misure cautelari che prevedevano un’ordinanza di arresto in carcere, mentre per Giovanni Valentini, Antonio Ruggi e Andrea Ferro, furono disposti i domiciliari per timore di inquinamento probatorio.

Il tribunale del riesame, pochi giorni dopo, però, accolse le istanze di scarcerazione e non ritenne giustificate le misure accordate dal giudice per le indagini preliminari, sentenza che poi fu confermata anche dalla Cassazione.