Falsifica il test del dna del figlio per far credere che sia di un facoltoso imprenditore

26 giugno 2021 | 09:55
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Falsifica il test del dna del figlio per far credere che sia di un facoltoso imprenditore

A scoprire tutto è stato l’uomo che ha fatto analizzare il tampone ad un laboratorio: ora il tribunale ha riconosciuto i risultati

Un facoltoso imprenditore della Lucchesia insospettito dal comportamento della compagna fa eseguire privatamente il test di paternità su lui e il presunto figlio di circa un anno e scopre di non essere il padre. Ma a quel punto la donna, vistasi alle strette, fa un tentativo estremo alternando un nuovo test cui sottopone il bambino per far credere all’uomo che era suo.

Giorni fa la corte d’Appello ha confermato la sentenza del 2019 del tribunale di Lucca stabilendo che il bambino non è figlio dell’imprenditore e ordinando all’ufficiale di stato civile del Comune di procedere all’annotazione della sentenza a margine dell’atto di nascita, con rettifica del cognome e condannando la donna, di origini straniere, di un Paese dell’Est europeo, al pagamento delle spese.

La donna rischia anche una incriminazione penale per aver falsificato la controprova di un laboratorio a cui si era rivolta per cercare di dimostrare che il primo test effettuato dall’uomo non era attendibile. Un terzo test disposto dal Tribunale ha poi sancito definitivamente che il bambino non era figlio dell’imprenditore. Una storia da soap opera che risale ad aprile del 2018 quando l’uomo dopo diversi comportamenti ritenuti sospetti della sua compagna dell’epoca ha fatto sorgere dubbi circa la sua effettiva paternità.

Pertanto, all’insaputa della compagna, il 15 aprile del 2018 ha acquistato un apposito kit, prelevato un campione di saliva proprio e del presunto figlio e inviato il tutto a un laboratorio fuori regione affinché venisse effettuato appunto il test di paternità base. Dai risultati dell’indagine di paternità non invasiva da tampone buccale effettuati si evinceva che “dall’analisi dei marcatori genetici investigati emerge una non compatibilità genetica, per ipotesi di paternità, tra campione denominato “padre” e campione denominato “figlio”, con conseguente probabilità di paternità pari allo 0%”.

Una scoperta a dir poco scioccante che confermava in pieno i suoi sospetti. Inevitabile a quel punto rivolgersi al tribunale di Lucca per risolvere la vicenda almeno da un punto di vista legale nonostante l’affetto che intanto lo legava comunque al bambino. La donna, sempre secondo i giudici, ha chiesto e ottenuto un secondo test al compagno prima che si rivolgesse alla magistratura alterando però i risultati. Per questa falsificazione ora rischia un procedimento penale. Il tribunale cittadino durante la causa “urgente” di primo grado nel 2019 aveva già stabilito, dopo una perizia tecnica e un terzo e conclusivo test di paternità, che il bambino non era figlio dell’imprenditore. Ora anche la corte d’Appello fiorentina ha confermato la sentenza di primo grado condannando la donna a 4mila euro di spese di giudizio.