Truffa dei diamanti, la banca condannata a risarcire il cliente

Sentenza del tribunale di Lucca dopo la causa di un lucchese, assistito dagli avvocati Peri e De Francesca, per l’acquisto di sei gemme preziose
Truffa dei diamanti: mentre va avanti l’inchiesta a livello nazionale, il tribunale di Lucca ha intanto condannato il Banco Bpm a risarcire un cliente per la compravendita di alcune gemme preziose ad un prezzo al di fuori del mercato e per l’accusa stimato al rialzo, attraverso una delle due aziende intermediarie poi fallite, finite al centro dell’inchiesta più ampia.
La sentenza emessa dal giudice Giacomo Lucente solo due giorni fa parla chiaro: la banca, secondo il magistrato, avrebbe dovuto informare il proprio cliente dei rischi connessi all’operazione di investimento proposta, accogliendo, in gran parte, le richieste del lucchese che ha deciso di fare causa. In particolare, condannando l’istituto bancario al risarcimento del danno stimato in 60milla euro oltre agli interessi e al pagamento delle spese di lite: altri 1.444 euro per le spese vive e 8mila euro per i compensi professionali.
Secondo quanto a suo tempo denunciato dal cliente della banca, assistito dagli avvocati Chiara Peri e Michele De Francesca, la vicenda trae origine dall’acquisto di 6 diamanti, proposta dalla Intermarket Diamond Business Spa su segnalazione bancaria di Bpm in tre diverse occasioni: 21 marzo e 4 aprile 2013 e 13 gennaio 2014, per un totale investito di 82.781 euro, attraverso tre distinti bonifici. Secondo le ipotesi dell’accusa, infatti, il prezzo di acquisto delle gemme sarebbe stato “gonfiato” rispetto al listino prezzi del momento dell’acquisto che li quotava – come si ricapitola nella premessa della sentenza del giudice – 43.916 euro. Benché la banca abbia respinto con forza ogni addebito nei suoi confronti, secondo il giudice avrebbe violato quella sorta di codice di responsabilità civile (espressa tra l’altro anche dall’articolo 2 della Costituzione) “che prescinde dall’esistenza di un contratto inteso nel senso stretto, e – si sottolinea in sentenza – sorge allorquando tra il danneggiato e il danneggiante sussista una particolare relazione sociale, considerata dall’ordinamento giuridico idonea a determinati specifici doveri di comportamento, ossia collaborazione e protezione volti alla salvaguardia di determinati beni giuridici, non riconducibili al generale e generico dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica”.