Sono di due fedi diverse: minacciati e perseguitati dalla famiglia perché vogliono sposarsi

10 luglio 2021 | 13:06
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Sono di due fedi diverse: minacciati e perseguitati dalla famiglia perché vogliono sposarsi

La Cassazione accoglie le richieste del giovane che lavora a Lucca e che ha chiesto lo status di rifugiato

Lui è un giovane di 25 anni e viveva in Togo, di fede musulmana, lei sua coetanea ma di religione cristiana, si innamorano e decidono di sposarsi ma qui iniziano i loro guai. I genitori di lui non intendono concedere il loro assenso al matrimonio e si rivolgono al tribunale speciale autonomo, detto appunto “confessionale”, che è controllato da alcune autorità governative musulmane. Inoltre il padre è un membro molto influente del partito Unir che ha vinto le elezioni governative e a detta dell’uomo molti membri della polizia locale e di alcuni tribunali sarebbero corrotti.

Il padre sempre secondo il suo racconto di etnia tchamba appartiene alla corrente integralista dell’Islam e ai due non resta che fuggire dal loro Paese nonostante lavorassero entrambi per poter coronare il loro sogno d’amore col matrimonio che a quel punto era diventato impossibile a causa delle ingerenze e pressioni e minacce della famiglia di lui che arrivano anche a sequestrargli il passaporto e i documenti. A quel punto la coppia dopo diverse traversie scappa, in attesa di potersi ricongiungere, lui in Italia dove vive in diversi centri di accoglienza per stranieri in Toscana, in provincia di Lucca e Firenze, lei successivamente invece riesce ad arrivare in Kuwait dove trova rifugio attendendo notizie dal suo amato fidanzato e promesso sposo, ma la commissione territoriale e la corte d’Appello non crede al suo racconto e non accettano di riconoscergli lo status di rifugiato e di protezione internazionale che gli consentirebbe anche di avere documenti nuovi e di poter raggiungere la sua compagna o viceversa, facendogli rischiare l’espulsione.

Di diverso avviso la suprema corte di Cassazione che invece ha accolto il ricorso. “Si evidenzia in proposito la particolare condizione di emergenza umanitaria dell’appellante, il quale in caso di rientro in Togo si troverebbe in una condizione socioeconomica e personale di estrema vulnerabilità. Come si è precisato, in alcun modo il richiedente avrebbe l’aiuto e il sostegno della famiglia. Non ha più nemmeno quell’indipendenza economica che poteva avere al momento dell’accaduto. In questo caso appare certamente non ragionevole il rimpatrio nel paese di origine: il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari gli consentirebbe la permanenza regolare sul territorio con possibilità di lavoro e quindi di sostentamento dignitoso, all’esito del percorso di integrazione che sta svolgendo e che è stato dimostrato anche con le allegazioni versate in atti”. Per questi motivi gli ermellini hanno recepito le sue istanze e la suprema Corte “cassa la sentenza impugnata, come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla corte d’Appello di Firenze in diversa composizione”. I giudici di merito ora per espressa richiesta della corte di Cassazione ”per quanto riguarda i documenti depositati nel corso del giudizio d’appello dal ricorrente dovrà valutarli secondo i seguenti principi già espressi da questa Corte con le sentenze 28990/2018 e 5241/2017”. Il caso proseguirà in corte d’Appello.