Gli uccidono i genitori durante una strage in chiesa: la corte d’appello gli riconosce lo status di rifugiato

La storia di un 30enne che ora vive e lavora tra la Lucchesia e Prato
Gli uccidono i genitori e uno zio durante una strage in una chiesa in Pakistan, la corte d’Appello gli riconosce lo status di rifugiato. I genitori avevano “osato” vendere un terreno ad alcuni cristiani per consentirgli di aprire una sua attività. Tra il novembre del 2015 e la primavera del 2016 sono state molte le stragi nelle chiese cattoliche, e non solo, in Pakistan, tanti attacchi terroristici contro le altre religioni da parte di integralisti sunniti di alcuni regioni del Punjab. In uno d questi tragici avvenimenti era morto il padre di un ragazzo di 30 anni che dopo mille traversie era arrivato in Italia anni fa per sottrarsi alle vendette di un gruppo di integralisti e di lavorare e vivere tra la Lucchesia e Prato dove ha imparato a cucire.
La commissione territoriale però non gli aveva riconosciuto lo status di rifugiato ma ora la corte d’Appello di Firenze, nella sentenza a firma dei giudici Minniti, Mazzarelli e Samà, ha accolto finalmente la sua domanda. I giudici sono riusciti a ricostruire la sua vicenda e verificare ciò che aveva raccontato e ne è venuto fuori un quadro a dir poco raccapricciante.
“Nel 2015 il padre del richiedente decide di vendere un terreno di sua proprietà per ripagare alcuni debiti contratti e per permettere al figlio di intraprendere una propria attività commerciale, vendendolo ai vicini di casa, cristiani. I vicini di casa avevano deciso di costruire una chiesa su quel terreno provocando l’ira del gruppo di musulmani sunniti del villaggio, cercando, con minacce e violenze, di impedire la compravendita e continuando anche dopo di essa. Un giorno i vicini e la famiglia del richiedente si sono riuniti per discutere della questione, quando nell’abitazione ricavata all’interno di una chiesa cristiana, avevano fatto irruzione 15 persone sunnite che, dopo una violenta discussione, avevano iniziato a sparare, uccidendo la madre, il padre, due cristiani e ferendo lo zio, che morirà successivamente dopo pochi giorni per le ferite riportate. Il richiedente era poi fuggito a Lahore dove aveva saputo da un amico che abitava nel villaggio che il Consiglio degli anziani si era riunito e aveva deciso di ucciderlo in caso di rientro”.
I giudici hanno trovato le prove di quanto raccontato dal ragazzo e quindi gli hanno riconosciuto lo status di rifugiato e di protezione internazionale “poiché in caso di rimpatrio in Pakistan il richiedente correrebbe il serio grave di subire trattamenti inumani e degradanti da parte dei sunniti: infatti, egli, avendo venduto il terreno a persone cristiane per costruire una chiesa, non ha preso parte a quella violenza settaria della comunità sunnita contro la minoranza sciita in particolare, ma anche contro tutte le altre minoranze religiose presenti in Pakistan, tra cui quella cristiana, diventando lui stesso una possibile vittima della violenza. Come già esposto precedentemente, nel Paese è stata promossa un’atmosfera di violento estremismo, accompagnato dal fatto che le autorità non hanno assicurato i responsabili dei crimini alla giustizia, minacciando la sicurezza e la stabilità del Paese, nonché violando importanti diritti umani, come la libertà religiosa e di espressione”. Il ragazzo lavora ed è perfettamente integrato nella comunità in cui vive anche se porterà per sempre dentro di sé gli orrori di cui è capace purtroppo l’essere umano.