Traffico di droga tra la Piana e la Versilia, maxi condanna al capo della gang

2 settembre 2021 | 12:20
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Traffico di droga tra la Piana e la Versilia, maxi condanna al capo della gang

Sette anni di pena confermati dalla Cassazione

Due anni fa la sentenza di secondo grado che lo aveva condannato a 7 anni di reclusione e 40mila euro di multa per reati legati alle sostanze stupefacenti. Già in primo grado il tribunale di Lucca lo aveva riconosciuto colpevole ritenendolo a capo di una organizzazione criminale albanese che gestiva una fitta rete di spaccio di cocaina finalizzata a rifornire il mercato lucchese e della Versilia in particolare. Ora l’uomo, 57 anni di origini albanesi era finito in manette negli anni scorsi a seguito di un’operazione congiunta tra i commissariati di Viareggio, Empoli e della Questura di Firenze che aveva portato all’arresto di 7 persone, tra cittadini albanesi e italiani. In particolare l’uomo, ritenuto dai giudici a capo della banda di pusher, era stato arrestato in flagranza ad Altopascio mentre stava cedendo un carico di cocaina. Ora anche la suprema corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso rendendo la condanna definitiva.

Alcuni agenti di polizia la sera dl suo arresto videro l’uomo scendere da un’autovettura e incontrarsi con un connazionale. I due prima salivano su un veicolo e dopo pochi secondi il complice scendeva e e sottoposto a controllo veniva trovato in possesso di sostanza stupefacente, occultata nei pantaloni. La difesa aveva sollecitato la revisione della sentenza della Corte di appello, rilevando che il complice, nel giudizio di convalida dell’arresto, aveva dichiarato di aver ricevuto ad Altopascio la cocaina da alcuni marocchini, i quali lo compensarono con la somma di tremila euro, affidandogli il compito di recapitarla ad altro marocchini a Viareggio, avendo egli accettato ciò per bisogno di denaro. Ma i giudici hanno dichiarato inammissibile l’istanza di revisione basta su questa linea di difesa, osservando che le dichiarazioni del complice non costituivano una prova, “provenendo da un soggetto indagato e dunque non tenuto a dire la verità, fermo restando che si trattava di dichiarazioni prive di riscontri, con le quali l’interessato non ha spiegato il motivo dell’incontro con l’imputato, né ha rivelato l’identità dei marocchini che lo avrebbero ingaggiato per la consegna, e nemmeno di coloro che lo avrebbero atteso, senza spiegare altresì in che modo li avrebbe poi individuati”. La condanna ora è definitiva.